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La medicina per i malati della sindrome dei «tassi zero»

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LO SCENARIO

La medicina per i malati della sindrome dei «tassi zero»

Un’occasione da non perdere per il Tesoro italiano per allungare la scadenza media del proprio debito sfruttando tassi forse irripetibili, ma anche una potenziale cura per investitori istituzionali affetti da quella che sul mercato si definisce non senza ironia una «crisi di Alm», intendendo con quest’ultima sigla la gestione delle attività e delle passività (Asset liability management appunto in inglese) ormai divenuta un problema serio per via dei tassi prossimi allo zero.

Il nuovo BTp a 50 anni appena lanciato dal Tesoro dai tassi a scadenza che si avvicinano al 3% e dalla duration (ossia la durata finanziaria ponderata per il flusso di cedole future) superiore ai 20 anni è infatti potenzialmente un toccasana soprattutto per soggetti, per esempio i fondi pensione, che rischiano di essere messi fuori gioco dalle politiche ultraespansive delle banche centrali. «In un contesto simile - conferma Antonio Cesarano di Mps Capital Services - chi deve bilanciare la composizione dell’attivo e del passivo per garantire le prestazioni future, ha assoluta necessità di questa tipologia di titoli».

In tale ambito rientrano appunto le assicurazioni e i fondi pensione, soprattutto quelli a prestazione definita come ha sottolineato la stessa Eiopa. Nell’ultimo Financial stability report, l’authority europea deputata al controllo di simili soggetti rileva che, proprio a causa dello scenario di rendimenti ai minimi storici, a fine 2015 il rapporto di copertura tra il patrimonio e le prestazioni promesse dai fondi si è ridotto dal 111% al 104 per cento. Piano piano ci si sta quindi avvicinando pericolosamente a quota 100, valore al di sotto del quale gli impegni presi con i clienti (cioè le pensioni da versare) sarebbero fortemente a rischio.

Ironia della sorte, a dare la caccia al futuro BTp a 50 anni (così come all’analogo titolo emesso dalla Spagna, che ci ha preceduto lo scorso maggio) saranno non soltanto gli investitori istituzionali di casa nostra, ma soprattutto quelli che risiedono nel nord dell’Europa. Sono infatti loro a soffrire maggiormente la fame di rendimenti decenti a lungo termine perché, come rileva ancora una volta l’Eiopa, la torta dei quasi 3.500 miliardi di euro di attività complessive detenute dai fondi pensione (tre quarti dei quali erogano prestazioni a tasso predefinito) si divide soprattutto fra Gran Bretagna (52%), Paesi Bassi (32%) e Germania (5,5%), mentre a Italia (3,3%) e Spagna (1,1%) restano poco più che briciole.

La situazione del Regno Unito, in particolare, è quella che desta al momento le maggiori preoccupazioni: secondo le rilevazioni di PriceWaterhouseCoopers, a fine settembre il potenziale squilibrio fra attività e passività dei fondi britannici che si sono impegnati a garantire un rendimento predefinito ai propri pensionati si aggirava sui 690 miliardi di sterline. È vero che Londra è fra i principali emittenti di bond a scadenza extra-lunga, soprattutto quelli legati all’inflazione, ma c’è da scommettere che più di un’occhiata interessata verrà rivolta anche al BTp in arrivo.

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