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Al tramonto le speculazioni sulle scorte d’alluminio

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Al tramonto le speculazioni sulle scorte d’alluminio

La saga dell’alluminio sta volgendo al termine. Le speculazioni sulle scorte - per anni fonte di gravi distorsioni sul mercato - sono passate di moda, per la minore convenienza finanziaria, ma anche per effetto di regole severe imposte dal London Metal Exchange.

Le giacenze presso la borsa londinese si sono più che dimezzate rispetto al picco storico del 2014, portandosi ai minimi dal 2008, intorno a 2,1 milioni di tonnellate (di cui il 60% disponibili per il ritiro). In parallelo anche i premi per l’acquisto fisico di alluminio, che erano volati alle stelle a causa delle lunghe attese per ritirare metallo dai magazzini Lme, si stanno normalizzando. E la vicenda scorte si è sgonfiata persino nelle aule dei tribunali

Questa settimana, dopo tre anni di udienze, la Corte distrettuale di Manhattan ha deciso il non luogo a procedere contro Goldman Sachs, JpMorgan, Glencore e altre società, che erano accusate di aver fatto salire ad arte i premi sull’alluminio, manipolando il flusso delle scorte: il giudice Katherine Forrest ha concluso che «agli atti non ci sono accuse né prove di comportamenti anticoncorrenziali al di fuori del mercato dei servizi di stoccaggio».

È di pochi giorni fa anche la notizia dell’ultimo contratto di fornitura sottoscritto dai grandi consumatori giapponesi di alluminio: il contratto per il terzso trimestre, destinato a fare da benchmark in Asia, prevede un premio (ossia un sovrapprezzo sulle quotazioni cash Lme) di appena 75 dollari per tonnellata, in discesa di quasi il 20% dal trimestre precedente e il minimo da 7 anni.

I giapponesi non sono nemmeno troppo soddisfatti. Sul mercato spot asiatico, infatti, i premi sull’alluminio sono addirittura inferiori, intorno a 70 $: valori lontani anni luce rispetto a quelli di inizio 2015, quando erano arrivati addirittura a sfiorare 500 $, e finalmente in linea con le condizioni del mercato, che è gravato - ma di certo non da ieri - da un forte eccesso di offerta, legato soprattutto al fiume di esportazioni dalla Cina.

Anche le scorte in uscita dai magazzini Lme sembrano essersi in gran parte spostate in Asia, dove il mercato non è rigidamente controllato e regolato come in Occidente. La borsa metalli londinese, che nel 2012 aveva promesso di «usare il bazooka» contro le speculazioni sulle scorte di magazzino, a fine settembre ha varato l’ultimo tassello del nuovo quadro regolatorio per i magazzini: il blocco per 5 anni delle tariffe di stoccaggio dei metalli, che entrerà in vigore ad aprile. In precedenza l’Lme aveva imposto ritmi più veloci di consegna del metallo e le attese - che in alcune località, come Detroit, erano arrivate a superare l’anno - sono già quasi del tutto scomparse.

A intasare i magazzini, dove il metallo aveva cominciato ad accumularsi durante la recessione globale, era stato il diffondersi di un’operazione finanziaria di carry trade che per lungo tempo è rimasta molto redditizia, soprattutto per chi aveva il controllo dei magazzini Lme (di qui le cause giudiziarie contro Goldman e JpMorgan, che nel frattempo hanno ceduto Metro ed Henry Bath, e contro Glencore, tuttora proprietaria della ex Pacorini, rinominata Access World).

L’operazione consiste nell’accumulare metallo fisico in magazzino, vendendo al contempo contratti future per una quantità equivalente. Funziona a meraviglia quando i tassi di interesse sono bassi e i costi di stoccaggio vengono più che ripagati grazie al contango, la situazione in cui le quotazioni del metallo a futuri sono più alte di quelle a pronti. I guadagni salgono se il metallo viene periodicamente spostato da un magazzino all’altro, per godere di incentivi offerti dalle società di stoccaggio.

Oggi la libertà d’azione si è ridotta, ma soprattutto il contango è quasi scomparso: l’alluminio a tre mesi vale circa 8 $ più di quello a pronti, contro gli oltre 40$ di un anno fa. Inoltre la Federal Reserve presto potrebbe alzare i tassi, rendendo più costoso finanziare questa e altre speculazioni.

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