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Petrolio, l’Opec litiga sulle cifre di produzione e rinvia…

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lo scenario

Petrolio, l’Opec litiga sulle cifre di produzione e rinvia l’accordo con la Russia

L’esito dell’incontro è stato quello di fissare un nuovo incontro, al quale il ministro dell’Energia russo Alexander Novak ha suggerito - con probabile ironia - di invitare anche gli Stati Uniti dello shale oil.

Non ha partorito molto l’ennesimo tavolo di confronto organizzato dall’Opec a Istanbul per discutere come e quanto tagliare la produzione di petrolio. E il mercato ha reagito alla delusione (e al dollaro forte) con un ribasso di circa l’1%, che ha riportato il Brent sotto 52 dollari al barile.

In realtà quello di ieri era davvero un “mini-vertice”: benché la riunione fosse allargata a produttori esterni all’Opec, questi erano alla fine soltanto due, la Russia e il Messico. E anche dei 14 membri dell’Organizzazione degli esportatori di greggio se ne sono presentati pochini e non di grande rilievo: oltre al segretario generale Mohammed Barkindo - nigeriano ma con un ruolo super partes, dato l’incarico - c’erano gli Emirati arabi uniti, il Qatar, l’Algeria il Venezuela e il Gabon. Nessun boicottaggio, semplicemente non tutti i ministri erano nella capitale turca per il World Energy Congress. Altri, come il saudita Khalid Al Falih, erano dovuti partire in anticipo.

«Si è discusso il meccanismo di cooperazione sui mercati internazionali del petrolio», ha riferito il russo Novak, aggiungendo che i dettagli - in pratica chi dovrà tagliare e quanto - saranno affrontati al tavolo tecnico già convocato dall’Opec per il 28-29 ottobre a Vienna: appuntamento al quale si è deciso a questo punto di invitare anche quelli che il qatarino Mohammed Al Sada ha definito i «paesi chiave non membri dell’Opec». In teoria anche gli Usa - forti di una produzione di petrolio tuttora intorno a 8,5 milioni di barili al giorno, più del doppio dell’Iran - sarebbero tra questi, ma è evidente che l’ipotesi di una loro partecipazione non può che essere una boutade.

Comunque sia, come ha detto a Bloomberg Tv il ministro emiratino Suhail Al Mazrouei, «ci vuole più dell’Opec per stabilizzare il mercato, bisogna che altri grandi player facciano la loro parte». Il problema è che solo la Russia finora si è apertamente schierata a favore di un intervento. E l’ha fatto in modo ambiguo. A parte la malcelata opposizione di Rosneft - che produce il 40% del petrolio russo e il 5% dell’offerta mondiale - il presidente Vladimir Putin è già tornato a parlare di congelamento anziché riduzione dell’output: «Non vedo ostacoli sulla strada di un’intesa finale per congelare la produzione di greggio ai livelli attuali - ha detto da Mosca - Una volta che i paesi Opec saranno riusciti a mettersi d’accordo tra loro, ci uniremo anche noi».

Il nodo, tuttavia, è proprio questo. Se al vertice di Algeri l’Opec è riuscita a dotarsi di nuovo di un tetto di produzione collettivo (di 32,5-33 milioni di barili al giorno), su entità e ripartizione dei tagli la trattativa resta in alto mare. Tanto da sollevare dubbi crescenti sulla capacità del gruppo di dirimere la questione entro la scadenza che si è dato, ossia il vertice ufficiale del 30 novembre.

Il rapporto mensile dell’Organizzazione, pubblicato ieri, ha esposto in modo davvero impietoso i termini del contendere. In settembre il gruppo indica, in base a fonti secondarie, di aver estratto 33,40 mbg (+220mila bg), un record da almeno 8 anni. Se la cifra fosse presa per buona, i tagli, dovrebbero ammontare a 400-900mila bg: un compito impegnativo, ma non impossibile, che potrebbe in effetti allineare la produzione alle richieste del mercato (che per il 2017 l’Opec stima in media di 32,6 mbg).

LA PRODUZIONE DI GREGGIO DEI PAESI OPEC A SETTEMBRE
Confronto tra fonti secondarie e dirette. Produzione a settembre 2016 e variazione rispetto ad agosto 2016. Dati in migliaia di barili/giorno. (*) Dati diretti non disponibili (Fonte: Opec Monthly Oil Market Report)

Il problema è che le fonti secondarie sembra non piacciano quasi a nessuno. Iraq e Venezuela, che ne hanno apertamente criticato l’attendibilità, hanno comunicato all’Opec cifre di produzione molto più alte: 4,78 mbg invece che 4,46 mbg Baghdad, 2,33 mbg invece che 2,10 Caracas. Tra l’uno e l’altro paese “ballano” ben 565mila bg, più dell’intera produzione dell’Ecuador. Ma il gap sale addirittura a 866mila bg, visto che - oltre a Iraq e Venezuela - anche Arabia Saudita, Kuwait, Emirati arabi uniti e Algeria sostengono di estrarre più di quanto stimato da fonti indipendenti. L’Iran ha invece deciso questo mese di non comunicare nessuna cifra all’Opec.

Sulla scelta dei numeri si giocherà l’intera partita dei tagli produttivi. E restano meno di due mesi di tempo per sbrogliare la matassa.

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