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Dollaro, yuan e tassi Usa: l’equilibrio instabile dei mercati

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lo scenario

Dollaro, yuan e tassi Usa: l’equilibrio instabile dei mercati

La Cina torna a fare le bizze. A settembre (su base annua) le esportazioni sono diminuite del 10 per cento. Un dato più che sensibile se riferito a un’economia che ha basato negli ultimi anni la sua progressione sull’applicazione di un mercantilismo ortodosso. Il dato pubblicato questa mattina da Pechino ha ricreato un po’ di turbolenza prima sulle Borse asiatiche e poi su quelle europee. Al momento non ci sono scossoni paragonabili a quelli registrati nell’agosto del 2015 o a inizio 2016, quando a seguito di una svalutazione repentina dello yuan sul dollaro le Borse non l’hanno presa bene.

Rispetto alla scorsa settimana però lo yuan si è svalutato nei confronti del biglietto verde. Il rapporto dollaro/yuan è passato da 6,68 a 6,72. Ergo, la valuta cinese vale ora mezzo punto percentuale in meno. Al momento la variazione sembra più imputabile al generale rafforzamento del dollaro su tutte le valute (l’euro è sceso a 1,10) in vista del sempre più probabile (70% di possibilità prezzate dal mercato) e imminente (14 dicembre) rialzo dei tassi di interesse negli Usa, che a un’azione del governo di Pechino per rafforzare la competitivà. Ma certo nei prossimi giorni il cambio tra la divisa Usa e quella cinese resterà un sorvegliato speciale dagli investitori. Perché un suo rapido movimento potrebbe innescare tensione e potenziali sell-off.

IL CAMBIO DOLLARO/YUAN
Quanti yuan cinesi si acquistano con un dollaro

Del resto, buona parte della politica monetaria della Fed guarda più a Pechino che a New York. Osservando i fondamentali interni (Pil oltre il 2% e disoccupazione al 5%) gli Usa avrebbero le carte per rialzare i tassi. Osservando l’equilibrio instabile con l’estero, e in particolare con la Cina (che dopo il Giappone è il primo detentore di debito pubblico Usa) la Fed ci pensa più di una volta prima di agire.

«La Fed adotterà una politica meno accomodante, ma non particolarmente restrittiva, perché altrimenti c'è il reale rischio di vedere una correzione sull'azionario. La Cina deve ridurre il debito, soprattutto a livello corporate, per poter gestire la crescita e il mercato sa che l'arma per raggiungere questo obiettivo senza enormi sofferenze interne è la svalutazione dello yuan. Ma una svalutazione dello yuan del 15/20% potrebbe far sprofondare i mercati sviluppati in una spirale di deflazione e incertezza; per questo motivo gli Stati Uniti in primis faranno in modo che questo accada in maniera graduale - spiega Marco Aboav, head of asset allocation di Moneyfarm -. La Fed è consapevole che non può avere un dollaro troppo forte per far crescere l'economia e non può offrire un'occasione ghiotta alla Cina per utilizzare gli aumenti dei tassi per una svalutazione dello yuan, quindi è davvero difficile aspettarsi una politica monetaria aggressiva. Le banche centrali dovranno coordinarsi per scongiurare conseguenze inaspettate sui mercati azionari, ma non è nell'interesse di nessuna banca centrale causare un shock azionario in questo periodo di bassa crescita ed elevato debito».

A inizio anno i timori di un forte rallentamento cinese e delle strette sui tassi negli Usa hanno scatenato una tempesta sulle Borse (placatasi nella seconda metà di febbraio). Il dato odierno che evidenzia una frenata delle esportazioni cinesi del 10% e l'imminente rialzo dei tassi negli Usa a dicembre (dato al 70%) potrebbero far rispuntare le condizioni di inizio anno e innescare una forte correzione in Borsa? I gestori sono divisi.

L'ANDAMENTO DI PIAZZA AFFARI DA INIZIO ANNO
L'indice Ftse Mib

Possibile un aumento della volatilità
Sì, secondo Alfonso Maglio, portfolio manager di Marzotto Sim: «Il mercato vive da tempo in una fase di narcosi grazie alla protratta azione delle banche centrali. Oggi cresce sempre di più il consenso circa la scarsa efficacia delle misure di Qe e l'impossibilità da parte delle banche centrali di andare aventi ancora per molto. Questo fattore, unito alle condizioni di salute dell'economia cinese, al rialzo dei tassi da parte della FED e ad una serie di elementi di incertezza che gravano a livello sistemico (Brexit, elezioni US, governo spagnolo, referendum in Italia etc.), possono portare a un aumento della volatilità con brusche correzioni.
In questo scenario riteniamo che il mercato obbligazionario sia maggiormente vulnerabile a meccanismi di aggiustamento al ribasso dei prezzi rispetto a quello azionario, il quale, fatta eccezione per lo S&P americano (+4,6% da inizio anno), sembrerebbe già incorporare molti degli elementi di incertezza citati (Stoxx50 -9.21%, FTSEMIB -24.13%, NKY -11.87%, SHCOMP -13.5% da inizio anno)».

Il rialzo del petrolio riduce i rischi sistemici
No, a parere di Sergio Bertoncini, strategist di Amundi sgr: «Riteniamo che le condizioni attuali differiscano profondamente da quelle di inizio anno, sia sotto l'aspetto macroeconomico che per quanto riguarda le politiche monetarie - spiega-. Al di là del singolo dato pubblicato oggi, che può avere deluso le stime degli economisti, la crescita cinese ha mostrato costanti segnali di stabilizzazione nel corso del 2016, andando progressivamente a fugare i diffusi timori di inizio anno relativi ad un eventuale “hard landing” della sua economia. In secondo luogo, il rimbalzo e il successivo recupero del prezzo del petrolio dai minimi di inizio anno hanno anch'essi contribuito a ridurre i rischi sistemici percepiti dai mercati tra gennaio e febbraio. Inoltre, il 2016 ha visto una sostanziale conferma della crescita globale, nonostante il nuovo shock “Brexit”, ma al contempo un ampio serbatoio di nuovi stimoli monetari di sostegno messi in campo prima dalla Banca del Giappone, poi dalla Bce e infine dalla BoE. Infine, è vero che la Fed andrà probabilmente a ritoccare di nuovo i tassi al rialzo a dicembre, ma i mercati lo stanno già ampiamente scontando nelle proprie valutazioni. L'atteggiamento della Fed rimane complessivamente accomodante, se si considera che si è astenuta da nuovi rialzi in tutti questi mesi del 2016 e come hanno mostrato le ultime indicazioni sul futuro dei tassi ufficiali americani forniti dagli stessi governatori della banca centrale americana a settembre scorso».

Se il dollaro però si rafforza ulteriormente....
Secondo Guglielmo Manetti, vice direttore generale di Intermonte advisory «l'indebolimento della valuta cinese può influenzare fortemente il mercato: negli ultimi 18 mesi ci sono stati 2 movimenti importanti del cambio dollaro/yuan (agosto 2015 e novembre 2015-gennaio 2016) che hanno avuto un impatto negativo sui mercati azionari - sottolinea - . Visto il recente movimento al rialzo dei tassi, riteniamo che mentre un aumento dei tassi Usa sia già in larga parte atteso, un ulteriore rafforzamento del dollaro potrebbe penalizzare soprattutto i mercati e settori più esposti ai Paesi emergenti, che sono anche quelli che hanno beneficiato in maniera costante di flussi di capitali positivi a scapito soprattutto dell'Europa».

I mercati scontano un rialzo dei tassi Usa a dicembre
«Le preoccupazioni riguardanti lo stato di salute dell'economia cinese riaffiorano periodicamente sul mercato: dopo le turbolenze dell'estate 2015 (con relativa modesta svalutazione del renminbi) e quelle di inizio anno (con timori di fuoriuscita dei capitali e crash seguiti ad un nuovo meccanismo di negoziazione introdotto in borsa) la Cina è uscita gradualmente dai radar, grazie a dati macroeconomici in miglioramento e all'emersione di nuovi eventi di rischio (Brexit) che distolgono l'attenzione degli investitori. L'intervento statale sull'economia, attraverso la concessione di debito alle numerose società partecipate, ha permesso una ripresa del ciclo economico, anche se ovviamente l'eccesso di debito potrebbe diventare una nuova fonte di preoccupazione per gli investitori - sottolinea Fabrizio Santin, portfolio manager di Pictet asset management -. A nostro avviso lo scetticismo sulla Cina scaturisce da difficoltà oggettive legate alla comprensione di un'economia che funziona con logiche distanti dai parametri occidentali. Lo scenario non può essere modificato da un singolo dato sulla bilancia dei pagamenti, né tantomeno da un rialzo dei tassi della Fed. In questo momento il rialzo è atteso con probabilità di poco inferiore al 70%, quindi già scontato nei prezzi, tuttavia la Fed continua a fornire ampie rassicurazioni sulla gradualità del processo di rialzo: a riprova di questo fatto il primo rialzo della Fed è avvenuto nel dicembre scorso».

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