Nel 2015 circa 119 milioni di europei, pari al 23,7% della popolazione, si trovava a rischio povertà o esclusione sociale. Dopo tre aumenti consecutivi tra il 2009 e il 2012, anno al termine del quale questa fascia di popolazione costituiva il 25% degli europei, la proporzione di persone a rischio povertà o esclusione sociale ha continuato a calare per tornare ai livelli del 2008.
Tuttavia resta più alta rispetto al livello più basso raggiunto nel 2009 (23,3%). Lo indica una elaborazione di Eurostat. Fra il 2008 e il 2015 la quota di popolazione che si trovava in quella situazione è aumentata in 15 Stati: tassi più alti in Grecia (da 28,1% nel 2008 a 35,7% nel 2005, cioè +7,6%), Cipro (+5,6%), Spagna (+4,8%), Italia (+3,2%) e Lussemburgo (+3%). Nel 2015, oltre un terzo della popolazione era a rischio povertà o esclusione sociale in tre Stati: Bulgaria (41,3%), Romania (37,3%) e Grecia (35,7%). Quote piu' basse in Repubblica ceca (14%), Svezia (16%), Olanda e Finlandia (16,8%), Danimarca e Francia (17,7%). In Italia si trovava in quelle condizioni il 28,7% della popolazione in aumento, appunto, rispetto al 25,5% nel 2008 (17,47 milioni di persone contro 15,080 milioni).
Cali più marcati in Polonia (da 30,5% a 23,4%, -7,1%) e Romania (-6,9%) seguiti da Bulgaria (-3,5%) e Lettonia (-3,3%). Complessivamente nella Ue è a rischio povertà un cittadino su sei.
Guardando ai tre elementi che contribuiscono al rischio povertà o di esclusione sociale, il 17,3% degli europei nel 2015 era in una tale situazione dopo i trasferimenti sociali (il loro reddito era sotto la soglia nazionale di riferimento). Si tratta di un leggero aumento rispetto al 2014 (17,2%) e un aumento più marcato se paragonato al 2008 (16,5%). In Romani era a rischio povertà una persone su 4 (25,4%), in Lettonia una su cinque (22,5%), in Lituania si trovava in quella condizione il 22,2%, Spagna il 22,1%, Bulgaria il 22,1%, Estonia il 21,6%, Grecia il 21,4%, Italia il 19,9% e Portogallo il 19,5%.
Tassi più' bassi nella Repubblica ceca (9,7%), Olanda (12,1%), Danimarca (12,2%), Slovacchia (12,3%) e Finlandia (12,4%). Rispetto al 2008, la proporzione di persone a rischio povertà è aumentata in 22 stati ed è calata in 4.
L'8,1% della popolazione Ue era «deprivata severamente» dal punto di vista materiale vivendo in condizioni di assenza di risorse sufficienti tanto da non essere in grado di far fronte ai pagamenti, di avere condizioni sufficienti di riscaldamento, di prendere una settimana di vacanza lontano dal luogo di residenza. Nel 2014 la quota era dell'8,9%, nel 2008 dell'8,5%. In tali condizioni si trovava il 34% dei bulgari, il 22,7% dei romeni, il 22,2% dei greci, l'11,5% degli italiani. Svezia 0,7%, Lussemburgo 2%, Olanda 2,5%, Austria 3,6%, Danimarca 3,7%, Germania 4,4%, Estonia e France 4.5%.
Per quanto riguarda la bassa intensità di lavoro, il 10,5% della popolazione tra 0 e 59 anni nella Ue viveva in famiglie in cui gli adulti lavoravano meno del 20% del tempo di attivita' potenziale nel corso dell'anno. Rispetto al 2014 la quota di questa popolazione è calata per la prima volta dal 2008: Grecia (16,8%), Spagna (15,4%) e Belgio (14,9%) hanno registrato la quota piu' alta, Lussemburgo(5,7%) e Svezia (5,8%) quella più bassa. In Italia nel 2008 si trovava in quella situazione il 10,4% della popolazione, nel 2015 l'11,7%.
Essere a rischio povertà significa per una famiglia disporre di un reddito disponibile, dopo i trasferimenti sociali, imposte e altre deduzioni, per spendere o risparmiare a una soglia inferiore al 60% del reddito medio disponibile nazionale. Non e' un indicatore che misura la povertà in termini assoluti, ma il basso livello di reddito in comparazione con altri residenti nazionali. Eurostat nota che la soglia varia da paese a paese e nel tempo in conseguenza dell'evoluzione del reddito disponibile nazionale mediano: in un certo numero di paesi la soglia e' calata fra il 2008 e il 2015 (Grecia e Cipro) o è rimasta sostanzialmente stabile (Spagna, Italia e Portogallo) a causa della crisi economica.
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus)
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