Tutto è pronto per l’atteso debutto dell’Arabia Saudita sul mercato internazionale del debito sovrano. Il roadshow tra gli investitori si è appena concluso e Riad ha cominciato a raccogliere ordini per i titoli di Stato denominati in dollari che, per la prima volta nella sua storia, intende collocare all’estero: una maxi-emissione che dovrebbe portare nelle casse dello Stato, dissanguate dal crollo del petrolio, una somma tra 10 e 15 miliardi di dollari.
Si tratta di un record assoluto per il Medio Oriente, nonché una delle maggiori emissioni obbligazionarie di sempre da parte di paesi emergenti, paragonabile al jumbo bond da 16,5 miliardi con cui l’Argentina la primavera scorsa è tornata sui mercati internazionali dopo 15 anni di assenza (si veda il Sole 24 Ore del 20 aprile).
In un mondo affamato di rendimenti, la richiesta non dovrebbe mancare, anche dalle prime indicazioni il prezzo non è sembrato esattamente un affare. Secondo la guidance iniziale i bond a 5 anni dovrebbero rendere il 2,6%, ossia 160 basis points più dei titoli Usa paragonabili. Il rendimento sale al 3,6% per la scadenza a 10 anni (+185 bp di spread) e al 4,85% per la tranche a 30 anni (+235bp). L’Arabia Saudita offre circa 60 bp in più rispetto al Qatar, che ha un rating più alto (Aa2 per Moody’s, due livelli sopra quello saudita). Ma la differenza, una volta stabilito il prezzo finale, dovrebbe ridursi.
Battere cassa sui mercati internazionali è diventato una necessità impellente per l’Arabia Saudita, la cui economia - che dipende per tre quarti dal petrolio - è stata fortemente danneggiata dal crollo del prezzo del barile negli ultimi due anni. Il governo sta anche valutando nei prossimi mesi di collocare in borsa il 5% della compagnia petrolifera nazionale, la Saudi Aramco: un’Ipo da cui potrebbe ricavare addirittura 100 miliardi di dollari.
Riad punta ad attenuare la sua dipendenza dal petrolio, con l’ambizioso piano di riforme Vision 2030, varato dal principe ereditario Mohammed bin Salman per diversificare l’economia. Di recente ha inoltre aver cambiato orientamento all’interno dell’Opec, predisponendosi a un possibile taglio della produzione di greggio, per risollevarne i prezzi: una significativa inversione a U, dopo aver sostenuto a lungo la necessità di lasciare questo compito alle forze di mercato.
Le sue finanze d’altra parte stanno soffrendo. Nel 2015 l’Arabia Saudita ha accusato un deficit di bilancio di 97 miliardi di dollari, pari al 15% del Pil, un record dal 1991. Per il 2016, come si è appreso proprio dal prospetto del bond, dovrebbe attestarsi a 87 miliardi, il 13,5% del Pil.
Il debito intanto sta salendo a vista d’occhio: prima dell’emissione internazionale, l’Arabia Saudita quest’anno aveva già collocato sul mercato interno bond per 63 miliardi di dollari , mentre altri 10 miliardi li ha presi in prestito dalle banche. Nel tentativo di risollevare le sue finanze - drenate anche dagli interventi militari in Yemen e Siria - Riad ha inoltre ridotto con decisione la spesa pubblica, spingendosi fino a tagliare del 20% gli stipendi dei tantissimi impiegati di Stato.
L’Arabia Saudita, maggior economia del Medio Oriente oltre che parte del G-20, non è l’unico paese costretto a indebitarsi per fronteggiare il crollo del petrolio. I sei paesi del Gulf Cooperation Council (Gcc) hanno collocato bond per 48 miliardi di dollari quest’anno, con emissioni internazionali anche da parte del Qatar e di Abu Dhabi (uno degli Emirati arabi uniti). Il Kuwait sta studiando un bond da 10 miliardi da collocare nei prossimi mesi.
Secondo Standard & Poors i membri del Gcc nel complesso hanno bisogno di raccogliere 560 miliardi di dollari tra il 2015 e il 2019 per colmare il deficit di bilancio provocato dal mini-greggio.
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