Se è vero che la voluntary disclosure prima versione, quella in vigore per tutto il 2015, è stato un successo “culturale” (mai visto 130mila contribuenti autopresentarsi al Fisco) e di numeri (60 miliardi emersi, 4 miliardi di recupero di tasse, più le imposte future sui rendimenti), è altrettanto fuori discussione che su un punto ha fallito, contro ogni previsione. Nel primo giro solo 1.507 contribuenti, su oltre 129mila istanze di regolarizzazione, hanno svelato il “nero” domestico mai uscito dai confini patrii. Da qui riparte la Vd/2, con il nuovo e già visto corredo di obiezioni e polemiche. La flat tax del 35% su quanto custodito nelle cassette di sicurezza, o sotto la piastrella del bagno, è nel mezzo del fuoco incrociato delle critiche. È troppo, quel forfait - che peraltro è solo un’opzione, non obbligatoria per il contribuente - o è troppo poco? Il 35%, nelle intenzioni del Mef che ha scritto la norma, è un punto di equilibrio tra l’aliquota generalmente applicabile al nero emergente (43%, per i volumi interessati) e lo sconto/premio da “patteggiamento” con l’Agenzia. Resta il fatto che rischia di essere un’asticella poco appetibile per gli incalliti del nero - che dovrebbero sacrificare un terzo dei depositi - e poco soddisfacente pure per gli integralisti dell’equità fiscale. Ma in ogni caso è opportuna una riflessione sui grandi numeri. La prima Vd si è chiusa con un incidenza “tasse-sul-capitale” del 7%, bassa perché legata al meccanismo della “prescrizione” fiscale, visto che quasi tutti i conti e attività estere erano oltre il limite di anzianità di cinque anni davanti a cui il Fisco deve fermarsi. Il nuovo forfait sulle cassette, se mai funzionasse, moltiplicherebbe per cinque quel risultato.
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