Nessun compromesso. Nel giro di tre anni tutte le navi del mondo saranno obbligate a utilizzare combustibili a basso contenuto di zolfo.
La svolta, decisa ieri dall’International Maritime Organization (Imo), è un altro punto a favore dell’ambiente, dopo gli accordi di Parigi sul clima. Sotto il profilo economico tuttavia l’impatto rischia di essere pesante, in primo luogo per il settore dei trasporti marittimi, già in profonda crisi, che dovrà sopportare costi ingenti per mettersi in regola, ma non solo.
Anche i raffinatori di petrolio potrebbero avere difficoltà ad adeguarsi alle nuove esigenze del mercato e molto probabilmente il risultato finale sarà un rincaro generalizzato dei carburanti, che colpirà non solo le tasche degli armatori ma anche quelle degli automobilisti.
La stretta alle emissioni nel settore marittimo, con l’obbligo di impiegare carburanti con meno dello 0,5% di ossidi di zolfo (SOx), era stata decisa nel 2009 dalle Nazioni Unite con la convenzione Marpol. Molti paesi del mondo, appartenenti all’Emission Control Areas (Eca) hanno già adottato le regole e in alcuni casi si sono dotati di criteri ancora più severi: nell’Unione europea ad esempio dal 1° gennaio 2015 il limite di SOx è 0,1% per le navi che transitano entro 200 miglia nautiche (370 km) dalla costa.
Il Comitato per la protezione dell’ambiente marino dell’Imo, riunito in questi giorni a Londra, doveva decidere se rinviare l’entrata in vigore del limite globale al 2025, per dare più tempo al sistema per adeguarsi, oppure se tenere ferma la data del 2020.
La decisione sui combustibili “puliti” nel settore marittimo non si profilava facile, al punto che alcuni esperti ritenevano probabile una soluzione di compromesso, come l’adozione di una data intermedia o la previsione di un adeguamento graduale. Alla fine, anche su pressione della Ue, l’International Maritime Organization ha deciso di accelerare.
La scomparsa dell’incertezza è un elemento di fondamentale importanza per gli armatori, ha sottolineato Esben Poulsson, presidente dell’Ics (International Chamber of Shipping), intervistato dal Sole 24 Ore a margine del convegno Shipping & the Law a Napoli poco prima della delibera dell’Imo: «A noi non importa la data di introduzione, ma abbiamo premuto molto perché si prendesse una decisione sull’avvio, perché solo così ci si può mettere al lavoro per risolvere i problemi pratici, che si saranno sicuramente. Forse avremo problemi di approvvigionamento, di certo prezzi più alti».
Per adeguarsi le compagnie di navigazione avranno sostanzialmente tre strade. La prima è dotare le navi di apparecchi per filtrare le emissioni di gas serra, una sorta di mega-catalizzatori molto costosi e per il momento ancora poco diffusi. In questo modo sarà possibile continuare a usare carburanti ad alto contenuto di zolfo, come l’olio combustibile, ultimo residuo della raffinazione.
La seconda strada è quella di adottare combustibili alternativi, come il Gas naturale liquefatto (Gnl) - che sta cominciando a diffondersi sulle navi di nuova costruzione, ma non è adatto a un impiego indiscriminato - oppure i biofuel di ultima generazione, come l’Hvo, il diesel verde prodotto anche dall’Eni nella raffineria riconvertita di Porto Marghera.
La terza possibilità è impiegare distillati a basso contenuto di zolfo, il cui prezzo è quasi ineluttabilmente destinato a salire.
Poulsson non ha dubbi su quale sarà la soluzione vincente, quanto meno nel breve-medio termine: «Penso che le navi continueranno a utilizzare soprattutto combustibili convenzionali, che sia fuel oil o diesel, almeno fino al 2030. Il Gnl va bene per le rotte brevi e certamente ha un grande potenziale, ma ci vorrà tempo. Anche l’Hvo è ancora una tecnologia nuova»
Cruciale nell’orientare la scelta dell’International Maritime Organization è stato uno studio, commissionato dalla stessa agenzia a CE Delft, che ha escluso difficoltà di approvvigionamento di carburante in seguito all’introduzione accelerata dei nuovi tetti per le emissioni di zolfo: la ricerca prevede che almeno 3.800 navi installeranno sistemi di filtraggio entro il 2020 (nel mondo ce ne sono in tutto 97mila) e che questo basterà a liberare forniture sufficienti di diesel “pulito”. Anche in scenari meno ottimisti, CE Delft è convinta che al massimo si verificheranno carenze a livello regionale, che potranno essere compensate grazie a surplus in altre aree geografiche.
Le conclusioni non sono riuscite tuttavia a sgombrare il campo ai dubbi. La stessa CE Delft non nega che ci saranno quasi certamente rincari, anche pesanti, per i combustibili. Già ai prezzi attuali del resto, fa notare il broker Clarkson, rifornire una grande petroliera con gasolio invece che olio combustibile aumenterebbe il costo del pieno del 44%, da 212 a 378 dollari per tonnellata.
Ma a complicare tutto c’è un altro studio, altrettanto autorevole e indipendente, che è stato recapitato sul tavolo dell’Imo dall’industria marittima e petrolifera. La ricerca, affidata a EnSys e Navigistics, presenta uno scenario decisamente più pessimista di quello prefigurato da CE Delft: «Il settore della raffinazione - vi si legge - avrà un’estrema difficoltà, se non addirittura un’impossibilità, a rifornire il carburante necessario per il tetto globale allo zolfo e nello stesso tempo soddisfare la domanda di tutti gli altri settori».
Le conseguenze rischiano di essere sentite a vasto raggio, persino dagli automobilisti nostrani: «L’impatto sul mercato sarà sostanziale e riguarderà tutti i prodotti e tutte le regioni del mondo».
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