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Banche italiane, si apre il fronte del taglio dei costi

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L'Editoriale|le sfide del credito

Banche italiane, si apre il fronte del taglio dei costi

Il Governatore Visco ha giustamente cercato di diradare le nebbie del pessimismo che circonda le banche italiane e ha fornito in occasione della Giornata del risparmio un'analisi tranquillizzante non solo delle banche più grandi, oggi sottoposte alla vigilanza europea, ma anche di tutte le altre, che continuano a rispondere a via Nazionale e che rappresentano quasi un quinto del sistema e un pezzo importante del localismo italiano.

In effetti, ci sono almeno tre aspetti che vanno sottolineati. Primo: la crescita dei crediti deteriorati si è arrestata, perché anche una ripresa economica anemica come l'attuale è in grado di avere effetti positivi. Secondo: le situazioni di crisi (peraltro con più di un punto interrogativo su Monte dei Paschi) sembrano sotto controllo.

Terzo: è da considerare positivamente che un sistema che ha dovuto affrontare la crisi economica più grave del dopoguerra si trovi in una condizione patrimoniale complessivamente soddisfacente e del tutto comparabile a quella degli altri paesi. E' bene ricordare che dal 2008 al 2015 gli accantonamenti sui crediti deteriorati hanno assorbito il 75 per cento dei profitti lordi dell'intero sistema; come non bastasse, le altre rettifiche hanno portato ad una perdita complessiva di 17 miliardi sull'arco di tutti gli otto anni.

Rimane il fatto che l'eredità del passato in termini di crediti deteriorati è il motivo fondamentale che alimenta il pessimismo dei mercati (ma anche di qualche importante banca internazionale) ed è dunque opportuno, come del resto suggerisce il Governatore, individuare formule che consentano alle banche di cedere una quota rilevante di sofferenze. E poiché la storia di tutte le crisi bancarie insegna che occorrono soluzioni generali, una forma di cartolarizzazione come quella realizzata per Monte dei Paschi potrebbe essere applicata all'intero sistema, come propone Giuseppe Lusignani sul Sole-24 Ore di ieri, con il supporto della garanzia pubblica sulla tranche senior, come ribadito da Visco.

Sarebbe un passo avanti importante, ma non decisivo per riportare le banche ad una condizione di normalità. L'ultimo rapporto del Fondo monetario ammonisce infatti che la ripresa economica non sarà sufficiente a ristabilire condizioni soddisfacenti di redditività nel sistema bancario europeo. Secondo le simulazioni effettuate, un terzo delle banche si troverebbe ad avere un rendimento del patrimonio ancora inferiore al costo del capitale (stimato all'8 per cento) cioè distruggerebbe valore.

Il che significa che per le banche, comprese ovviamente quelle italiane, si sta chiudendo un fronte, quello dei crediti dubbi, e se ne apre un altro: quello della riduzione dei costi. I dati dicono che i costi assorbono una quota molto elevata dei ricavi lordi complessivi: il cosiddetto cost-income ratio nell'area dell'euro è del 65 per cento (dati Fmi) grosso modo coincidente con il valore italiano. Si può fare molto di meglio: le banche dei paesi nordici ad esempio registrano valori nettamente inferiori al 40 per cento.

Le banche soffrono innanzitutto di un eccesso di capacità produttiva perché le nuove tecnologie rendono sempre più obsoleti gli sportelli tradizionali e una gran parte del personale che li serve. Il Fondo monetario calcola che quasi metà delle banche europee (che rappresentano il 5 per cento dei depositi) hanno depositi per sportello inferiori alla media del continente, quindi sono con tutta probabilità improduttivi.

Non è esagerato dire che la rivoluzione tecnologica in banca è appena agli inizi (ancora più in Italia che è indietro in tutte le classifiche che riguardano l'utilizzo di internet) e dunque il settore bancario nei prossimi anni dovrà subire trasformazioni strutturali profonde. Il processo è già iniziato, ovviamente: dall'inizio della crisi in Europa sono sparite più di mille banche e più di 29 mila sportelli, con proporzionali riduzioni in termini di personale.

Procedere oltre su questa strada irta di sacrifici e di costi sociali non è facile. Le fusioni possono giovare in molti casi e in Italia quelle già in cantiere tra popolari o le acquisizioni che verranno dalle vendite delle banche locali gestite dalla cosiddetta “banca-ponte” saranno l'occasione per importanti economie di costo. Ma la rivoluzione tecnologica impone delle discontinuità che sono ben diverse dai processi di pura razionalizzazione delle strutture operative tipici delle fusioni. Sarà una vera svolta storica.

In tutto questo, il vero convitato di pietra è la politica di Bruxelles, immobile come la statua del Commendatore. Le banche europee, non solo italiane, sono state lasciate sole a gestire un evento epocale come un deterioramento della qualità del credito mai sperimentato in precedenza. Qualsiasi ipotesi di soluzione comunitaria è stata rifiutata con sdegno e ogni iniziativa nazionale è stata severamente vagliata per allontanare il benché minimo sospetto di aiuti di stato. L'unica risposta chiara è stato il rigore del bail-in introdotto a gioco in corso.

La rivoluzione tecnologica bancaria, che sicuramente comporterà costi sociali enormi, si sta avviando senza ammortizzatori adeguati per i vincoli alle politiche fiscali nazionali e tutto viene ancora una volta rimandato alle iniziative interne alla categoria, come se questa non avesse problemi a sufficienza. Il fatto è che, come dice il Governatore all'inizio del suo discorso, «la politica europea rimane ancorata a una veduta corta».

Questo giudizio è un sintomo del disagio crescente delle banche centrali, che si trovano ad essere l'unico sostegno alla ripresa economica e per questo devono ricorrere a politiche sempre più eterodosse, tanto da entrare nel regno dei tassi negativi che possono avere effetti negativi per la stessa redditività delle banche. E' facile prevedere che i toni si alzeranno in futuro, in parallelo alle grandi e difficili trasformazioni che le banche dovranno affrontare.

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