Non si può definire attacco finanziario all’Italia, come accaduto in passato. Non è neppure una vera ondata di sfiducia. Eppure anche oggi, nonostante la calma piatta degli spread in un contesto di tassi in rialzo, un indicatore dietro le quinte dei mercati mostra crescente apprensione degli investitori sull’Italia: il sistema dei pagamenti Target 2. Si tratta del “registratore di cassa” europeo, che traccia tutti i flussi di capitali in entrata e in uscita da ogni Paese. Ebbene: Target 2 mostra che l’Italia ha accumulato un passivo record nei confronti del resto d’Europa, pari a 327 miliardi di euro, superando anche i momenti più acuti della crisi. Insomma: dall’Italia stanno uscendo capitali.
Il motivo di questo super-passivo, in realtà, è in gran parte tecnico e legato alle modalità di esecuzione del «quantitative easing» della Bce, cioè la politica monetaria con cui Mario Draghi stampa moneta. Ma la questione, secondo molti esperti, non può essere liquidata solo così. Perché, dietro il tecnicismo, Target 2 mostra comunque un fenomeno inequivocabile: gli investitori italiani e internazionali investono più volentieri fuori che dentro l’Italia. I soldi stampati dalla Bce preferiscono andare altrove, piuttosto che restare nella Penisola.
Deflussi record
Target 2 è il sistema che regola i pagamenti trans-nazionali tra i Paesi dell’area euro e le loro banche centrali. Il fatto che oggi il passivo dell’Italia sia a livelli record, e sia aumentato di oltre 100 miliardi da fine 2014 all’agosto 2016, significa che c’è una pressione in uscita di capitali dalla Penisola. Il motivo di questo deflusso di denaro, però, è diverso dalle fasi precedenti di crisi: cioè dopo il crack di Lehman e durante la crisi dello spread tra BTp e Bund. Questa volta il crescente squilibrio è dovuto in gran parte alla politica della Bce.
Lo spiega chiaramente Peter Praet, membro del board Bce. La sua spiegazione suona così. La Bce per stampare moneta deve comprare titoli di Stato. In realtà, però, i titoli li rilevano sul mercato materialmente le banche centrali di ogni Paese: la Banca d’Italia acquista BTp italiani, la Banca di Spagna Bonos spagnoli e così via. Ebbene: dato che - spiega Praet - «l’80% degli acquisti di titoli da parte delle banche centrali nazionali avviene con controparti estere», il quantitative easing per forza manda in disequilibrio Target 2. Perché quando la Banca d’Italia acquista BTp da una banca estera, di fatto “trasferisce” soldi fuori dall’Italia. Dunque manda Target 2 in passivo. Questa è la versione ufficiale della Bce. Accreditata da vari economisti, come Marco Valli di UniCredit: «È possibile che ci sia un’uscita di capitali dall’Italia, ma il grosso del passivo di Target 2 è causato dalla questione tecnica».
L’altra storia
Detta così, sembrerebbe dunque un non-problema. Ma non tutti gli addetti ai lavori sono persuasi di questa spiegazione. Non ne è convinto, per esempio, Eric Dor, director of economic studies della Ieseg School of management: a suo avviso la motivazione data dalla Bce non può valere, se non in parte, per l’Italia. Perché i numeri la contraddicono. Se la Banca d’Italia avesse acquistato tanti titoli di Stato da operatori esteri, sbilanciando dunque Target 2 come spiega Praet, avremmo dovuto assistere a un calo dei titoli di Stato italiani in mani internazionali. Invece il calo non c’è stato: dall’inizio del «quantitative easing», secondo i dati stessi della Bce, gli investitori internazionali hanno aumentato i BTp in portafoglio di 10 miliardi di euro. Per contro sono diminuiti i titoli di Stato nelle mani degli investitori italiani: i fondi comuni li hanno ridotti di 31 miliardi nello stesso periodo e le famiglie di 15 miliardi. È vero che questi numeri sono “sporcati” dalle nuove emissioni di BTp, ma è ragionevole pensare - guardandoli - che la Banca d’Italia abbia comprato titoli di Stato più dagli investitori italiani che da quelli internazionali. Dunque la motivazione «tecnica» vale, ma probabilmente solo in parte per l’Italia.
La realtà è invece forse un’altra: la Banca d’Italia ha comprato BTp soprattutto dagli investitori italiani, e questi hanno usato i soldi “freschi di stampa” ricevuti da Via Nazionale per comprare titoli all’estero. Sono insomma gli italiani i primi a credere poco nel proprio Paese. La pensa così Fabio Balboni, economista di Hsbc: «I soldi del Qe sono stati usati dagli italiani per comprare titoli all’estero», osserva. E sono sempre i numeri a farlo intendere. Negli ultimi due anni gli italiani hanno acquistato (al netto delle vendite) fondi esteri per 132 miliardi. Le banche italiane hanno aumentato i titoli esteri in portafoglio di 31 miliardi. Gli altri investitori domestici (sono catalogati così dalla Bce) hanno aumentato i bond internazionali in portafoglio di 57 miliardi. Per contro gli investitori esteri hanno diminuito le obbligazioni di banche italiane di 29 miliardi.
Le ragioni della fuga
Se ci si chiede come mai gli italiani investano sempre più all’estero, i motivi possono essere molti. L’aumento molto evidente del passivo di Target 2 negli ultimi due mesi può essere legato all’incertezza sul referendum costituzionale. Qualcuno - come Dor - ritiene che la sfiducia parta dall’anemica crescita economica. Le banche italiane ultimamente stanno riducendo i titoli di Stato in bilancio (tra luglio e agosto ne hanno venduti per 12 miliardi secondo i dati Bankitalia) forse anche per timore di novità regolamentari che penalizzino in futuro chi detiene troppi titoli di Stato. I motivi possono essere tanti. E si mischiano, certamente, alle ragioni tecniche. O, forse, a quelle legate ai trend di mercato. Sta di fatto che i soldi della Bce, invece di stare nei Paesi che più ne avrebbero bisogno, finiscono sempre dove non servono: in Germania e nei Paesi più forti. «Segno - sostiene Balboni - che il Qe non funziona come dovrebbe».
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