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Le vendite sui bond e il (prematuro) ritorno alla normalità

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L'Analisi|l’analisi

Le vendite sui bond e il (prematuro) ritorno alla normalità

L’ottobre che ci siamo appena lasciati alle spalle è a livello globale il peggior mese da sei anni a questa parte per le obbligazioni. I rendimenti dei bond non erano saliti così tanto neppure nelle fasi più acute della crisi del debito europeo, né quando gli Stati Uniti mutarono il verso della propria politica ultra-espansiva.

Per arrivare a un nuovo, presunto, punto di rottura del mercato obbligazionario, la cui tendenza secolare rialzista è stata più volte in passato data erroneamente per defunta, è stata naturalmente necessaria l’azione concomitante di più fattori. Se però proprio si vuol cercare il motivo che più di ogni altro abbia scatenato le vendite è la percezione diffusa fra gli investitori che al mondo le cose stiano di nuovo marciando per il verso giusto: la crescita prosegue, non certo a un ritmo trascendentale ma a sufficienza per scacciare in alcune aree l’incubo deflazione e per porre quindi fine a quell’anomalia dei tassi zero (o addirittura negativi) che a lungo ci ha accompagnato.

Con uno scenario simile è del tutto comprensibile che il rischio tassi abbia preso il sopravvento nelle scelte di chi investe sui bond, scalzando invece quello collegato alla solidità dell’emittente particolarmente in voga qualche anno fa. Un’ulteriore conferma in questo senso arriva dalle dinamiche degli investitori Usa, che nella scorsa settimana hanno sì venduto in modo massiccio obbligazioni societarie indipendentemente dal loro merito di credito, come dimostrano i riscatti superiori al miliardo di dollari patiti dai due più gettonati Etf sui corporate bond targati iShares, ma soltanto per piazzare il denaro sul Powershare Senior Loan Portfolio Etf: uno strumento che invece replica le performance di titoli a breve scadenza e a cedola variabile.

Ma se il sempre più probabile aumento dei tassi da parte della Federal Reserve (che il mercato sconta ormai oltre al 70% per dicembre, mentre le previsioni per il 2017 sono per la verità ancora avvolte nella nebbia) e l’inflazione «importata» dal crollo della sterlina post-Brexit rendono plausibili simili scelte negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, il comportamento dei bond europei dell’Eurozona è francamente più complicato da giustificare sulla base dei soli fondamentali economici.

Nei dati preliminari sui prezzi al consumo pubblicati ieri, che evidenziano una crescita limitata soltanto alle componenti più volatili (come ad esempio il prezzo del petrolio) e non agli indici «core» che restano invece ancorati a un insufficiente +0,8%, la maggior parte degli analisti non riesce per il momento a ravvisare motivazioni valide in base alle quali la Bce non debba estendere il piano di riacquisti di titoli pubblici e privati oltre la naturale scadenza di marzo.

Eppure, stando agli indici Effas, in ottobre i BTp hanno perso mediamente il 2,65% del proprio valore, i Bund tedeschi il 2,15% e i Bonos spagnoli l’1,97 per cento: certo meno del 4,55% ceduto dai Gilt britannici, ma più dell’1,38% dei Treasury Usa che avrebbero avuto sicuramente più motivi per soffrire. Per non parlare del misero 0,45% lasciato sul terreno dai bond del Giappone, la cui Banca centrale ha dato formalmente il via al movimento globale sui tassi annunciando a settembre il controllo dei rendimenti del decennale.

Si potrà obiettare che da inizio anno le performance restano ancora ampiamente positive in tutte le aree, soprattutto sulle scadenze più lunghe. E anche, guardando più specificamente all’Eurozona, che il rialzo dei tassi porta una boccata d’ossigeno alle banche commerciali e toglie qualche castagna dal fuoco pure alla Bce alle prese con il possibile (ma mai ammesso ufficialmente) effetto «scarsità» dei bond da riacquistare con il suo piano: il ritorno dei rendimenti non dispiace proprio a tutti, insomma. Il precedente di un anno e mezzo fa, quando a pochi mesi dall’avvio del «Qe» si udivano discorsi in parte simili, dovrebbe però mettere in guardia chi già ha fretta di guardare oltre l’ostacolo.

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