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All’Opec è ancora Arabia Saudita contro Iran (e Riad evoca i…

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All’Opec è ancora Arabia Saudita contro Iran (e Riad evoca i fantasmi del 1986)

(Reuters)
(Reuters)

Nell’era dello shale oil e del trading algoritmico l’Opec conserva una straordinaria capacità di influenzare il mercato del petrolio. L’ennesima dimostrazione si è avuta ieri, quando le quotazioni del barile si sono tuffate in ribasso del 2,5% - ai minimi da agosto - per poi riemergere invariate nel giro di un’ora e mezza.

Tra l’affondo e la risalita due lanci di agenzia: il primo della Reuters, poco dopo le 13 ora italiana, secondo cui l’Arabia Saudita avrebbe minacciato di inondare il mercato di greggio se l’Iran non si fosse allineata coi piani per tagliare la produzione; il secondo, battuto dalla Bloomberg intorno alle 15,30, con la smentita delle voci da parte del segretario generale dell’Opec Mohammed Barkindo. Negli incontri della scorsa settimana a Vienna, ha assicurato quest’ultimo, non c’è stata nessuna minaccia: «Il contributo dei sauditi è stato come al solito molto costruttivo».

Al mercato la rassicurazione sembra essere bastata, anche se in seguito il petrolio ha ripreso a calare per chiudere nel caso del Brent a 45,58 $/barile (-1,7%).

Altri fattori esercitano un’influenza negativa sui prezzi, compresa la forza che l’industria petrolifera americana continua a dimostrare. Gli Usa hanno stabilito un nuovo record di esportazioni di greggio in settembre, con 692mila barili al giorno (di cui 81mila inviati in Italia) secondo le statistiche dello Us Census Bureau. E la settimana scorsa le compagnie hanno rimesso in funzione altre 12 trivelle, di cui 9 alla ricerca di petrolio:  dopo una risalita che prosegue da maggio, Baker Hughes ne conta ora 569.

Le voci di un nuovo muro contro muro tra Arabia Saudita e Iran , corroborate dalle indiscrezioni diffuse dalla Reuters, sono comunque suggestive. Fonti presenti agli incontri di venerdì e sabato scorso a Vienna, in cui l’Opec avrebbe dovuto definire le quote di produzione individuali, riferiscono che i sauditi erano talmente irritati dalle resistenze di Teheran da minacciare di far saltare del tutto gli accordi: «Hanno minacciato di aumentare la produzione a 11 o addirittura 12 milioni di barili al giorno (dagli attuali 10,5 mbg, Ndr) tirando giù i prezzi del petrolio e di abbandonare la riunione». Sono poi stati convinti a restare, «per evitare imbarazzo nel gruppo» e per non costringere a cancellare il meeting del giorno dopo coi produttori non Opec.

L’atmosfera non solo ricorda quella di aprile, quando i dissidi tra Arabia Saudita e Iran fecero naufragare l’accordo di Doha per congelare la produzione, ma riporta alla mente anche le vicende di metà anni Ottanta, quando Riad - che nel giro di 5 anni anni aveva ridotto di oltre due terzi l’output senza collaborazione da parte degli altri membri dell’Opec - decise di “vendicarsi” aprendo di colpo i rubinetti: in 4 mesi, nel 1986, il prezzo del greggio sprofondò del 67% fino a 10 $/barile.

La stessa Reuters in seguito ha attenuato le tinte forti del quadro, diffondendo un’ulteriore testimonianza anonima dei recenti incontri. Nessuna minaccia, ha assicurato una fonte Opec di area Golfo Persico: «L’Arabia Saudita non ha detto che l’output salirà, ma solo che potrebbe salire. In mancanza di un accordo tutti i produttori potrebbero aumentare l’output, questo è un fatto».

La resistenza al compromesso da parte di Teheran (e non solo) non viene d’altra parte smentita:. «Tutti i paesi Opec e anche gli altri produttori - prosegue la fonte - sono scontenti del fatto che l’Iran non voglia partecipare al congelamento dell’output e del fatto che l’Iraq non accetti la metodologia basata su stime di produzione indipendenti».

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