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La sorpresa Trump infiamma il metallo «sbagliato»: a correre non è l’oro ma il rame

Rame (Olycom)
Rame (Olycom)

L’«effetto Trump» ha proiettato in rialzo le quotazioni dell’oro: una reazione prevedibile, ma che è durata ben poco. A fine giornata il lingotto aveva già cancellato ogni guadagno, oscurato da un rally ben più sorprendente, quello del rame. Il metallo rosso - per una curiosa coincidenza proprio il colore dei Repubblicani negli Usa - è balzato ai massimi da un anno e a fine giornata conservava un rialzo superiore al 3%.

Anche il petrolio, asset rischioso che in teoria gli investitori avrebbero dovuto vendere, ha chiuso la seduta in progresso, con il Wti a 45,27 $/barile (+0,6%) al seguito della clamorosa ripresa del biglietto verde e dei listini azionari.

Reazioni a caldo

L’esito imprevisto delle elezioni presidenziali americane nell’immediato aveva indebolito sia il petrolio che i metalli industriali, mentre aveva messo le ali all’oro, portandolo a guadagnare il 4,9% a 1.337,40 dollari l’oncia. Un balzo è davvero notevole per un asset che di solito registra variazioni di prezzo modeste, ma la fiammata si è spenta nel giro di poche ore: nella serata italiana l’oro era già tornato sotto 1.280 $, come alla vigilia del voto.

Il rame, decollato un po’ in ritardo, ha invece raggiunto 5.443 $/tonnellata (base tre mesi) al Lme, un record da giugno 2015, e poi è riuscito a mantenere per tutta la giornata un rialzo superiore al 3%, concludendo a 5.418,50 $. Ai massimi da un anno sono saliti anche l’alluminio e il nickel.

Il rally del rame

A mettere il turbo ai metalli non ferrosi, secondo alcuni analisti, è stato il discorso inaugurale di Donald Trump, in cui il neo presidente ha rilanciato la promessa elettorale di un piano di rinnovamento delle infrastrutture da 500 miliardi di dollari: «Ricostruiremo le nostre autostrade, ponti, tunnel, aeroporti, scuole, ospedali», ha proclamato Trump. Almeno una parte degli osservatori è comunque rimasta perplessa. Il rally del rame, secondo Robin Bahr di Société Générale, è stato «sconcertante» considerato il rafforzamento del dollaro nel corso della giornata. Sulla stessa linea Commerzbank: «Troviamo eccessiva e non del tutto comprensibile la risposta dei prezzi».

Il metallo rosso, dopo un lungo periodo di debolezza, si è davvero risvegliato all’improvviso. Ma questo era avvenuto prima delle elezioni Usa, una ventina di giorni fa e la settimana scorsa - quando si scommetteva su una vittoria di Hillary Clinton - il prezzo aveva guadagnato il 10% superando 5mila dollari.

Ad alimentare i rialzi sono i fondi di investimento, che da qualche settimana hanno cominciato a spostarsi su posizioni all’acquisto, con un’azione di ricopertura che sta tuttora proseguendo. La posizione netta lunga degli speculatori è ai massimi da quando l’Lme ha cominciato nel 2014 a pubblicare i dati e il broker Marex Spectron stima che sia addirittura a livelli paragonabili a quelli di febbraio 2011, quando il rame raggiunse il record storico di 10.190 $/tonnellata. Proprio per questo il metallo resta vulnerabile, almeno finché non avrà superato con decisione la soglia di 5.460 $, secondo gli analisti tecnici.

Le prospettive dell’oro

L’oro in fin dei conti sembra avere maggiori chance di mantenere la tendenza rialzista. Le incertezze sul timing della prossima stretta monetaria della Fed sono aumentate con l’elezione di Trump e gira voce che Janet Yellen - più volte accusata dal candidato repubblicano di tebere bassi i tassi per favorire l’amministrazione Obama - potrebbe dare le dimissioni.

È comunque troppo presto per fare previsioni. Dal 200o a oggi, ricorda David Fickling, analista di Bloomberg, il lingotto si è apprezzato di oltre il 4% solo in 13 occasioni - l’ultima all’indomani della Brexit - ma dopo 90 giorni solo in 7 casi risultava ancora in rialzo. L’uscita di Londra dalla Ue non rientra tra questi: a 90 giorni dall’evento l’oro era in ribasso del 3,1%.

Fossili contro rinnovabili

Anche per il petrolio i giochi si faranno più avanti. Con Trump alla Casa Bianca i combustibili fossili dovrebbero essere favoriti a scapito delle rinnovabili: pur avendo parlato poco di energia durante la campagna elettorale, il repubblicano ha promesso aiuti ai produttori di carbone, meno vincoli per le trivellazioni petrolifere e in particolare per il fracking e un generale ritiro dagli impegni a tutela dell’ambiente, compresi gli accordi di Parigi sul clima. I titoli delle minerarie e dei produttori di shale oil ieri hanno registrato forti rialzi, mentre viceversa il settore delle rinnovabili è stato tra i più bastonati. Ma se le misure paventate dovessero trovare applicazione è più facile che, nel lungo termine, abbiano un effetto ribassista sui combustibili in quanto ne accelererebbero la produzione. Certo, per il petrolio potrebbero esserci fiammate di prezzo se con Trump crescessero le tensioni geopolitiche, specie in Medio Oriente. Ma questo è uno scenario che nemmeno i petrolieri sia augurano.

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