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Le regine del web siedono su un tesoro di liquidità

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STUDIO MEDIOBANCA

Le regine del web siedono su un tesoro di liquidità

(Contrasto)
(Contrasto)

Le 23 multinazionali del web e del software, censite dall’ufficio studi di Mediobanca, tutte insieme valgono in Borsa 2.784 miliardi. La più grossa, Google (483,6 miliardi a fine settembre), da sola vale l’intera Piazza Affari. Sono la parte più dinamica dell’economia mondiale con ricavi (466,8 miliardi a fine 2015) più che triplicati negli ultimi sette anni e dipendenti cresciuti del 137% dal 2009 a superare la soglia del milione (comunque poca cosa rispetto ai 28 milioni impiegati nelle multinazionali industriali). Nel campione rientrano aziende dell’e-commerce, comparto che pesa per il 39% dei ricavi totali; software (35%); servizi internet (24%) e entertainment software (2%). Un’industria immateriale che corre veloce, ma non sa che parcheggiare nella finanza l’enorme liquidità accumulata - 339,2 miliardi a fine 20015, pari al 37% del totale dell’attivo aggregato - mentre è aperto il dibattito se sia questo lo sviluppo che può far da volano all’economia reale.

Di certo, utilizza capitale umano in proporzioni dimezzate rispetto all’industria tradizionale: per ogni milione di totale attivo, infatti, le web-soft company impiegano 1,2 addetti mentre il resto delle multinazionali 2,7.

Una sfida che comunque, ormai, di fatto si gioca tra i pionieri Usa e gli emergenti cinesi. Gli americani dominano per dimensioni, con i primi tre player per ricavi tutti made in Usa: Amazon, che vanta un fatturato di 98,3 miliardi di euro, Microsoft che segue a quota 86 miliardi e Google con 68,9 miliardi. Ma i cinesi scalpitano per raggiungerli, tant’è che i maggiori tassi di crescita lo scorso anno - a parte Facebook che ha aumentato i ricavi del 43,8% - sono tutti all’ombra della grande muraglia, con JD.com che ha aumentato il giro d’affari del 57,6%, Baidu del 35,8% eAlibaba del 32,7%. Di europee nel gruppetto delle 23 società individuate c’è solo la tedesca Sap, concentrata sul lato più “tradizionale” del software. Dal 2009 i ricavi di Facebook si sono moltiplicati per 22, quelli di Baidu per 14, quelli della coreana Tencent per 7. In generale però la crescita sta rallentando se si considera che per 16 società l’incremento del 2015 è inferiore alla media degli ultimi anni.

Le dimensioni, anche qui, non sono però garanzia di redditività. Tant’è che il leader dimensionale Amazon è in coda alla classifica tra le società in attivo ,con un risultato netto pari ad appena lo 0,6% del fatturato, mentre JD.com, per esempio, ha chiuso in perdita (per 1,3 miliardi). Dal 2009 Microsoft ha accumulato 100 miliardi di profitti, Google 62,8 miliardi e Oracle 51.

In generale la redidtività è in calo, con un Roi (return on investment) passato dal 25,1 del 2009 al 14,9 del 2015, e un Roe (return on equity) sceso dal 27,2 al 16,9. Lo si vede anche dal margine Ebit, passato dal 25,8% nel 2009 al 18,9% nel 2015. La marginalità più alta oggi - 26,1% (comunque in calo dal 30,4%) - è delle società che offrono servizi Internet. Tencent guida il drappello con una redditività del 37,3%. Di gratis al mondo non c’è niente. E di fatto queste società “vendono” l’attenzione che riescono ad attrarre dal pubblico degli internauti. Facebook, tanto per fare un esempio su tutti, origina dalla pubblicità più del 95% delle sue entrate, Google il 90%. Il comparto dei player attivi in questo campo è anche quello che riesce a giostrarsi meglio nell’ottimizzazione fiscale, con un tax rate del 17,7% che si confronta con il 50,9% di media delle società - la giapponese Nintendo e l’americana Electronics Arts - che offrono entertainment interattivo. Nel complesso il tax rate medio delle 23 web-soft company è pari al 23% contro il 30% delle multinazionali tradizionali.

In Borsa le web-soft piacciono, visto che nell’ultimo anno sono salite in media del 35%, con Alibaba a tirar la volata con un +75%. Sarà anche perchè queste aziende sono molto liquide, con un tesoretto in pancia che complessivamente sfiora i 340 miliardi di euro. E una propensione a sostenere i titoli con i buy-back, con uno sforzo in proporzione doppio rispetto a quello delle multinazionali industriali.

Fatto sta che il 47,5% degli impieghi è fatto di cassa e titoli facilmente liquidabili, mentre sugli investimenti materiali vengono convogliate solo il 14,6% delle risorse (contro il quasi 40% delle multinazionali tradizionali).

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