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I tanti motivi che spingono a vendere i titoli di Stato

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L'Analisi|L’ANALISI

I tanti motivi che spingono a vendere i titoli di Stato

Tutti ieri si sono dati un buon motivo per vendere titoli di Stato decennali. Più inflazione e debito, stretta da banche centrali, rischio politico in ascesa.

Il sell off sui titoli di Stato a lungo termine ieri è stato mozzafiato, un incrocio di trend che vengono da lontano. Da quando il mercato, arcistufo dei rendimenti negativi, ha scommesso a settembre sul cambio di passo della Banca del Giappone dato dalla novità del target sul rendimento dei decennali (meno acquisti?) e sul problema in arrivo della scarsità dei titoli candidabili al QE della Bce (meno acquisti?). La voglia di vendere è aumentata tanto più si è concretizzato il rialzo dei tassi della Federal Reserve. E i timori di instabilità politica nel Paese con il terzo debito pubblico al mondo, l’Italia con il suo referendum, hanno esteso il disinvestimento ai BTp già da qualche settimana.

Il programma di politica fiscale ed economica di Donald Trump, anche se allo stadio di vaga promessa elettorale, ha alimentato una seconda ondata di vendite: più deficit, più debito, più inflazione, più crescita generano tassi e rendimenti più alti e quindi i prezzi dei Treasuries a lungo sono andati giù e il rendimento del decennale ieri è schizzato da 1,80% a 2,08%. Nelle vendite sui bond Usa non è mancato chi ha alleggerito la sua posizione sul rischio-sovrano americano e l’esposizione al dollaro Usa. E chi ha rispolverato la vecchia regola, Borsa al rialzo, bond al ribasso.

Ieri mattina il mercato dei bond europei ha tenuto perchè la Bce ha fatto grossi acquisti, pare, 4 miliardi. Ma quando ha smesso, il mercato è venuto giù. Chi ha venduto ieri i titoli di Stato tedeschi (rendimento da 0,10% a 0,30%), oltre ad anticipare modifiche al QE di Mario Draghi non favorevoli ai Bund, ha puntato sul gemellaggio tra benchmark europeo e americano, anche se l’inflazione europea è molto lontana dal target Bce. Ma è anche corsa voce di hedge fund lunghi di Francia che hanno scaricato gli OaT - tra i più colpiti ieri con rendimento da 0,43% a 0,68% - per paura dell’ascesa di Marine Le Pen, sulla scia del Trumpismo. Motivi per vendere i BTp non sono mancati: oltre all’incertezza sul referendum e il futuro di Renzi oggi c’è un’asta di BTp fino a 7,25 miliardi e il rating di S&P’s è oggi stesso nel calendario delle potenziali revisioni. Il rendimento del BTp ha spiccato un grande salto, da 1,75% a 1,90%.

Si vende quando si teme che la direzione dei prezzi sia in discesa. E nei titoli di Stato due estremi si toccano. Da un lato ci sono i fondamentali, più inflazione con Trump che promette più crescita finanziata da più deficit (dal 3-4% al 7-8% stimano gli operatori) e più debito (dal 77% fino potenzialmente oltre il 100%). Dall’altro lato c’è il rischio sovrano, quello che peggiora nei Paesi grandi e piccoli superindebitati, e l’incertezza dello scenario politico globale con l’avanzata del populismo, dai partiti di protesta, dall’instabilità dei governi, del terrorismo e delle complessità geopolitiche. Non sarà un caso se ieri i l rendimento dei titoli di Stato a due anni, in Germania e Giappone, è sceso. Un bene rifugio nel caso la prossima grande crisi sia politica e non economico-finanziaria.

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