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«Se l’Opec non taglia, il petrolio rischia nuove cadute di…

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«Se l’Opec non taglia, il petrolio rischia nuove cadute di prezzo»

(Reuters)
(Reuters)

Svanito l’«effetto Trump», il petrolio torna ad essere condizionato dagli scenari sul vertice Opec di fine mese. A riportarvi l’attenzione è l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), che ha trasformato il suo bollettino mensile in un implicito appello a tagliare la produzione: se l’Organizzazione riuscirà a mettere in pratica gli accordi di Algeri il mercato «si sposterà molto rapidamente dal surplus al deficit nel 2017», scrive l’agenzia Ocse, ma se invece non ce la farà «c’è il rischio che i prezzi subiscano una nuova caduta». L’eccesso di offerta si protrarrà infatti per il terzo anno consecutivo e le scorte petrolifere - che da agosto hanno finalmente cominciato a calare - torneranno ad accumularsi.

L’avvertimento, sommato al nuovo aumento delle scorte che si è in effetti visto negli Stati Uniti, ha riportato in ribasso le quotazioni del barile: il Brent ha chiuso a 45,84 $ (-1,1%), il Wti a 44,66 $ (-1,4%).

«Non possiamo predire l’esito del vertice del 30 novembre - afferma l’Aie - ma ci rendiamo conto delle dimensioni della sfida». A ottobre, il mese successivo al vertice di Algeri, la produzione mondiale di greggio è infatti cresciuta di ben 800mila barili al giorno. E i maggiori responsabili dell’incremento sono proprio l’Opec e il suo potenziale maggior alleato, la Russia.

Mosca ha superato 11,2 milioni di barili al giorno in ottobre: in un paio di mesi - mentre proclamava di essere pronta a tagliare o congelare l’output - ha aggiunto sul mercato ben 500mila bg. Del resto l’Opec non è stata da meno: la ripresa della produzione libica e nigeriana, insieme a nuovi record per Iraq (4,59 mbg) e Kuwait (2,93 mbg) hanno spinto l’output del gruppo al picco storico di 33,83 mbg.

Per rispettare l’obiettivo di Algeri, ossia un tetto produttivo di 32,5-33 mbg, servirebbe un taglio di almeno 830mila bg. Ma i paesi del gruppo stanno faticando a mettersi d’accordo sulla ripartizione dei sacrifici.

«Qualunque sia il suo esito - scrive l’Aie - il vertice di Vienna avrà un impatto considerevole sul futuro, spesso rinviato, riequilibrio del mercato del petrolio». Anche perché all’esterno dell’Opec la Russia non è l’unico paese che sta accelerando l’estrazione di greggio. Ci sono anche il Kazakhstan, dov’è appena entrato in funzione Kashagan, il Brasile, il Canada, solo per citare i maggiori responsabili.

Dopo essere calata di 900mila bg nel 2016 (tutti o quasi compensati dall’Opec9, la produzione non Opec risalirà di 500mila bg l’anno prossimo, prevede l’Aie, che teme che il 2017 possa rivelarsi «un altro anno di crescita senza sosta per l’offerta mondiale, simile a quello che abbiamo visto nel 2016».

La crescita della domanda dovrebbe intanto mantersi stabile: +1,2 mbg sia nel 2016 che nel 2017, in quanto «non ci sono elementi che suggeriscano un’attività economica abbastanza robusta da garantire tassi di crescita più alti».

«Prima o poi le forze di mercato faranno il loro lavoro», afferma l’agenzia parigina, negando di volersi arrogare il ruolo di indirizzare l’azione dell’Opec. Eppure, il messaggio è chiaro.

Le scorte hanno appena cominciato a ridursi: nei paesi dell’Ocse sono diminuite di 34 milioni di barili tra agosto e settembre (a 3.068 mb) calcola l’Aie, sottolineando come questo sia «il maggior ribasso da tre anni nel giro di due mesi». Anche in ottobre le stime preliminari indicano un calo, ma più ridotto (-8,2 mb) e dovuto solo ai prodotti raffinati, perché gli stock di greggio stanno già risalendo negli Usa e in Giappone. Solo l’Opec, sembra suggerire l’Aie, è in grado di invertire la rotta.

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