Finanza & Mercati

Banche europee, con Basilea 4 rischio di aumenti di capitale per 860…

  • Abbonati
  • Accedi
In primo piano

Banche europee, con Basilea 4 rischio di aumenti di capitale per 860 miliardi

Europa contro Stati Uniti e resto del mondo. Il 28 e il 29 novembre, a Santiago del Cile, si decideranno le sorti del comparto bancario globale. Per il Vecchio Continente si profila una sconfitta quasi certa. A meno che non si contesti l’arbitro, ovvero il Comitato di Basilea. Se sarà una sconfitta pesante, altrettanto pesanti saranno le conseguenze per gli istituti e i loro milioni di clienti: sul tavolo del Comitato di Basilea, infatti, ci saranno le nuove regole sul capitale a cui dovranno adeguarsi le banche delle principali economie mondiali. Quanto più capitale sarà richiesto alle banche, tanto meno saranno in grado di sostenere l’economia reale, in una fase di crescita non elevata e per di più a macchia di leopardo. Per le banche europee, stando alle stime più pessimistiche, aleggia il pericolo di 860 miliardi di capitale aggiuntivo (il 55% in più dei livelli attuali), o la drammatica alternativa di dimezzare lo stock dei crediti.

Da Basilea 1 a Basilea 4

La questione è dibattuta da anni, ma ora siamo al redde rationem. Politicamente è tema da G20, mentre le trattative sono state condotte dagli alti funzionari del Comitato di Basilea e al Gruppo dei Governatori delle banche centrali, che l’8 gennaio 2017 dovrebbe definitivamente approvare la proposta che uscirà dalla due giorni di Santiago .

Dopo gli accordi di Basilea 1, Basilea 2 e Basilea 3, che dal 2007 hanno riformato il sistema finanziario globale reduce dalla crisi post-Lehman, Basilea 4 (che in teoria è la revisione di Basilea 3) si concentra sul tema dei modelli interni (Irb), con cui le banche valutano la rischiosità degli affidatari (aziende, piccole o grandi che siano) e accantonano capitale di conseguenza. Da una parte ci sono gli Stati Uniti, dove pochissime banche, e solo i colossi a proiezione internazionale, hanno adottato i modelli interni, mentre tutte le altre continuano a seguire i modelli standard. Dall’altra le banche europee, tantissime, che si affidano ai rating interni grazie a cui calcolano oltre il 50% in media del loro capitale: anche sotto la spinta della Vigilanza, nel Vecchio Continente buona parte degli istituti si è “convertita” , investendo milioni di euro e rivedendo capitale e portafogli crediti. Chi ha ottenuto la validazione dei propri modelli si è vista riconoscere una ponderazione meno gravosa dei risk weighted asset, e dunque ratio patrimoniali più alti.

L’inversione di marcia

Il paradosso è che oggi, dopo tutto questo sforzo, in Europa si rischia l’indietro tutta. Il Comitato di Basilea in particolare sta per introdurre due pavimenti (input e output floors) che limiteranno fortemente i benefici dei rating interni. La proposta regolamentare per l’output floor nel dettaglio prevede che le richieste di capitale generate con i modelli interni non possano scendere sotto il 60% (o addirittura il 90%) di quelle generate secondo lo standard (peraltro in via di ulteriore aggiornamento). Il tema è ancora in discussione, e nei giorni scorsi la Commissione affari economici del Parlamento europeo ha varato una risoluzione che recepisce molte delle preoccupazioni delle banche italiane sul tema, evidenziate dall’Abi. Ma se il Comitato di Basilea non cambierà approccio, questa novità potrebbe costare da sola tra i 50 e i 200 miliardi di capitale aggiuntivo (si veda il grafico qui a lato), a cui si aggiungono potenziali altri 600 miliardi per le altre modifiche in atto.

«Il rischio è quello di soffocare le banche sotto il peso del loro stesso capitale», riflette Federico Ghizzoni, ex ceo di UniCredit, da sempre critico sulla riforma in gestazione presso il Comitato di Basilea: «Con i tassi bassi e i requisiti patrimoniali alti, gli istituti saranno nei fatti costretti a ridurre gli impieghi, ampliando così la platea dei soggetti già oggi non bancabili». Anche perché sul settore incombono anche altre incognite: i nuovi principi contabili Ifrs 9, la nuova ponderazione dei Titoli di Stato e la stretta sui crediti incagliati. Ma restando ai modelli interni, c’è anche un altro aspetto paradossale. Pensato per prevenire rischi eventuali, Basilea 4 potrebbe determinare alcuni rischi certi: «Se le banche vengono private della capacità di erogare credito, si mette in pericolo la stabilità economica dei mercati in cui operano, con ulteriori danni alla salute delle banche stesse», osserva Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa Sanpaolo. Che vede il pericolo di un circolo vizioso «che potrebbe essere evitato semplicemente valutando gli effetti delle nuove norme prima che entrino in vigore».

L’impatto sul capitale

Secondo la società di consulenza Prometeia, l’introduzione dei floor per le banche italiane che usano i modelli avanzati potrebbe comportare in media una riduzione del Cet1 ratio tra i 20 e 150 punti base. Un salasso insostenibile. «Il guaio è che i floors sono una soluzione sbagliata a un problema, legittimo, che è quello dell’armonizzazione dei modelli», spiega Andrea Resti, docente in Bocconi e consulente per il Parlamento Europeo sui temi legati alla vigilanza bancaria. Per il docente, che nei giorni scorsi ha relazionato in Parlamento Ue sul tema, meglio sarebbe «evitare scorciatoie che rischiano di ridurre le sensitività del modelli» e piuttosto «studiare soluzioni alternative». Tra queste potrebbe esserci «l’estensione del benchmarking tra modelli interni di banche diverse su portafogli analoghi, una peer review tra le diverse autorità di vigilanza per standardizzare le logiche di validazione dei modelli oppure la prosecuzione del lavoro dell’Eba per emettere linee guida comuni».

Il fronte politico

Il tema è solo apparentemente tecnico. La sostanza è politica. Se, come sembra a giudicare dalle forze in campo, passerà la posizione americana - anche in una versione addolcita - per tutti gli istituti dei 28 paesi che si riconoscono in Basilea salteranno i benefici derivanti dai modelli avanzati, quasi tutti concentrati in Europa, mentre per  le banche americane l’impatto sarà limitato, se non addirittura nullo, considerate le basse percentuali di adesione. E, viste le premesse, e per di più la recente vittoria elettorale di Donald Trump, è difficile che la Fed di Janet Yellen conceda sconti all’Europa. Ma non è detta l’ultima parola: «Dal G20 - ricorda ancora Gros-Pietro - il Comitato di Basilea ha ricevuto il mandato di studiare un nuovo set di regole che non preveda un significativo fabbisogno aggiuntivo di capitale». Se il mandato non dovesse essere rispettato, potrebbe cadere l’obbligo in capo agli Stati di adeguarsi alle nuove norme: e senza una legge dello Stato, o una direttiva comunitaria, Basilea 4 resterebbe sulla carta. Il margine per contestare l’«arbitro», insomma, sembra esserci. «Noi come Federazione bancaria europea riteniamo che qualunque incremento superiore al 5% rispetto agli attuali livelli medi di capitalizzazione sia significativo - sottolinea Giovanni Sabatini, direttore generale Abi e presidente del Comitato Esecutivo della Federazione Bancaria Europea - La stima fatta dalla Federazione sulla base delle attuali proposte vede, invece, un incremento del 55 per cento. Per questo è necessaria una sostanziale revisione del pacchetto Basilea 4». A differenza di quella americana, «questa richiesta - dice ancora Sabatini - è coerente con il mandato che il G20 aveva dato al Comitato di Basilea».

© Riproduzione riservata