Se l’Opec parla, lo shale oil agisce. Incoraggiati anche dalla vittoria di Donald Trump, considerato un forte alleato, i petrolieri americani hanno accelerato il ritorno in attività, mettendo in funzione altre 20 trivelle la settimana scorsa, di cui 19 per l’estrazione di greggio.
L’incremento registrato da Baker Hughes è il maggiore da aprile 2014, quando il barile - un paio di mesi prima di avviare il crollo - quotava ancora oltre 100 dollari.
Gli impianti di perforazione dedicati al petrolio si sono moltiplicati quasi senza sosta da metà maggio, risalendo da 316 (un minimo da sei anni) agli attuali 471. Il record storico, di ottobre 2014, è 1.609.
Le compagnie Usa hanno sofferto gravi danni economici negli ultimi due anni. Molte sono finite - e continuano tuttora a finire - in bancarotta. Standard & Poors’ proprio ieri segnalava che su 146 società in default su obbligazioni quest’anno - il numero più elevato dalla crisi globale del 2009 - ben 48 operano nel settore Oil & Gas negli Stati Uniti.
La forte discesa dei costi di produzione e la contemporanea ripresa delle quotazioni petrolifere stanno tuttavia dando coraggio ai frackers sopravvissuti, che tra l’altro hanno ritrovato una finestra di opportunità per effettuare operazioni di hedging, a copertura dal rischio di una nuova fase di debolezza dei prezzi: una strategia che li renderà più solidi e maggiormente in grado di ottenere finanziamenti dalle banche.
Secondo l’americana Cowen & Co, 18 società di esplorazione e produzione Usa (su 65 monitorate) si apprestano ad aumentare gli investimenti in conto capitale nel 2017, con un incremento medio del 39%. Il capex era stato tagliato del 35% nel 2015 e del 48% nel 2016.
L’Opec intanto continua a trasmettere segnali di ottimismo. I colloqui di ieri a Doha, che avrebbero coinvolto nove paesi membri e due produttori esterni, sono stati «molto positivi e costruttivi» secondo il ministro russo Alexander Novak: «Le posizioni delle parti - ha dichiarato a Interfax - si stanno avvicinando e la possibilità di raggiungere un accordo è diventata reale».
Secondo diverse agenzie internazionali all’Iran sarebbe stato offerto un tetto più alto: 3,92 milioni di barili al giorno, pari all’attuale livello di produzione dichiarato da Teheran e poco sotto i 4 mbg che rivendicava di voler raggiungere.
L’Iraq, che appare come il maggiore ostacolo al successo del negoziato, ha intanto rilasciato dichiarazioni distensive al Wall Street Journal: «Sono davvero ottimista sul risultato del prossimo vertice - ha detto il ministro Jabar Al Luaibi - Abbiamo quasi raggiunto se non proprio un accordo dei risultati soddisfacenti».
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