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Il peso del «sì» e del «no» sul futuro dei BTp

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Il peso del «sì» e del «no» sul futuro dei BTp

Referendum e Qe sono le due più grandi variabili, tra tante, che incidono ora e che determineranno in futuro l’andamento dei BTp e dello spread. La vittoria del “sì” o del “no” il 4 dicembre e le modifiche soft oppure hard al programma di acquisto di bond della Bce, attese l’8 dicembre, trascineranno prezzi e rendimenti dei titoli di Stato italiani, e dunque il rischio-Italia, in qualsiasi direzione. Il differenziale del rendimento tra BTp e Bund può tornare verso quota 100 oppure schizzare verso 250, in questo o quello scenario.

Esiste tuttavia una differenza sostanziale tra l’impatto del referendum e quello del Qe: il primo ha una portata di breve, medio e lungo periodo (nei due estremi, dalla tenuta di un governo impegnato agli occhi dei mercati a riformare il Paese all’«ingovernabilità» citata ieri dal ministro della Giustizia Andrea Orlando di fronte a una platea di investitori istituzionali internazionali a un convegno sugli Npl); il secondo è a tempo, «non durerà per sempre» come ha ricordato Mario Draghi (anche se i mercati vorrebbero il Qe infinito), è una finestra di opportunità ai governi per rafforzare la crescita e mettere in ordine i conti pubblici, ora aperta ma che prima o poi si chiuderà.

Nello spread e nell’andamento dei BTp i mercati arriverà il giorno in cui i mercati sconteranno di tutto, anche quanto l’Italia hasaputo sfruttare questo “periodo di grazia” dato dalle condizioni veramente eccezionali di una politica monetaria accomodante della Bce, con tassi di riferimento a breve bassissimi per lungo tempo (il refi è ancora allo 0%, le deposit facilities a -0,40%) accompagnata da un massiccio programma di acquisto di bond governativi (per ora 1.170 miliardi sul totale di acquisti di asset per 1.740 miliardi fino al marzo 2017) per abbattere i tassi sul medio-lungo termine.

Il Qe aiuta i conti pubblici in maniera diretta e indiretta: rafforza la crescita e quindi contribuisce a migliorare il rapporto debito/Pil, favorisce l’avanzo primario e riduce il costo del rifinanziamento del debito pubblico, con un impatto positivo sulle dinamiche stesse del debito. In un rapporto pubblicato ieri, Barclays ha calcolato l’effetto del Qe sui conti pubblici nell’Eurozona: nel periodo 2014-2016, il costo della raccolta per il servizio del debito pubblico è sceso in media di 110 punti base, che diventano 147 per l’Italia (un risparmio che non ci sarebbe stato senza Qe). Il debito/Pil nell’area dell’euro è calato in media di 572 punti base, grazie al doppio impatto del Qe che agisce non solo sul denominatore Pil ma anche sull’avanzo primario tramite una maggior crescita. Il Qe inoltre, stando a questi calcoli, avrebbe ridotto dal 3% del 2012 al 2,4% del 2015 il peso del tasso d’interesse sui fattori che incidono sull’andamento del debito/Pil anno su anno nell’Eurozona.

La politica della Bce è servita dunque ad arginare i danni della Grande Crisi che ha aumentato il debito pubblico per colpa di recessione, salvataggi bancari, riduzione delle entrate fiscali, rincaro dei sussidi per la disoccupazione e del costo del rifinanziamento del debito causato dal rialzo dello spread in alcuni Paesi. In questa analisi Barclays stima che senza il Qe (il suo impatto benefico su costo della raccolta, Pil e avanzo primario) il debito/Pil italiano sarebbe cresciuto del 12% nel periodo 2014-2016, invece del 4,5% (e questo vale anche per la Spagna).

Un altro fattore che emerge da questa analisi è l’incremento dello “spazio fiscale” dato dal Qe, un bonus che però non sarebbe stato utilizzato in maniera virtuosa. Il risparmio della spesa per gli interessi sul debito pubblico, che ha consentito di allentare la cinghia per una politica fiscale più accomodante, non ha portato a un aumento della quota degli investimenti pubblici sul totale della spesa, che rimane a livelli molto più bassi rispetto a quelli pre-crisi. «Il venir meno della pressione dei mercati, con il Qe, porta all’azzardo morale», è la conclusione di Barclays, che ammonisce: i mercati post-Qe, e in Italia anche post-referendum, torneranno a valutare e a scontare totalmente nei rendimenti e nello spread la sostenibilità dei conti pubblici e la solvibilità del debito.

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