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L’unico piano B è l’intervento dello Stato

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L'Analisi|le prospettive

L’unico piano B è l’intervento dello Stato

Il via libera dell’assemblea degli azionisti di Mps alla maxi-manovra di ripatrimonializzazione della terza banca italiana non rappresenta la fine di un percorso, ma è solo l’inizio formale della parte più difficile del piano: la sua esecuzione concreta. Se il complesso disegno finanziario del piano targato JP Morgan e basato su capitali privati è definito e ormai anche approvato, ora servono i soldi: 5 miliardi di euro, tanti per una banca che in Borsa capitalizza poco più di 600 milioni. Il mercato si farà davvero carico della iniezione di così tanti capitali?

Una prima risposta si avrà già entro una settimana, quando terminerà il primo pilastro su cui poggia il piano di rilancio di Mps, ovvero il progetto di conversione in azioni dei 4 miliardi di obbligazioni detenute da investitori istituzionali e retail.

Rispondendo alla Consob, la banca ha detto di attendersi la conversione per un miliardo di euro. Ipotesi minimale, probabilmente dovuta alla cautela delle stime preliminari, che se però coincidesse con il risultato finale potrebbe essere insufficiente per il buon esito dell’operazione complessiva da 5 miliardi. Sul mercato andrebbe un’emissione azionaria da 4 miliardi, difficile da assorbire da investitori istituzionali. A meno di sorprese dal lato degli anchor investor, ovvero dei fondi sovrani arabi e orientali (a partire dal Qatar) e dei grandi investitori Usa (dai fondi di Soros a quelli di Paulson) che stanno valutando l’investimento con i propri advisor ma non hanno ancora preso una decisione definitiva. Anche se negli ultimi giorni, trapela maggiore ottimismo poiché l’interesse degli investitori pare in crescita.

La sensazione diffusa tra le banche del consorzio di collocamento dell’aumento Mps è che nessun investitore istituzionale intenda impegnarsi contrattualmente ad acquistare azioni Mps finché non ci saranno certezze sull’esito della conversione dei bond in equity. Pesa ovviamente, come per il resto del sistema finanziario italiano, anche il clima di incertezza e il rischio di instabilità politica collegati al referendum costituzionale che si terrà in Italia il prossimo 4 dicembre. I rischi di turbolenze finanziarie in caso di vittoria del «no» esistono, come ha riconosciuto pochi giorni fa la Banca d'Italia. Altri osservatori sostengono invece che i recenti ribassi dei corsi azionari, soprattutto nel settore bancario, potrebbero aver già scontato nei prezzi i rischi di futura instabilità. Resta il fatto che i grandi investitori globali, prima di investire in Italia, preferiscono attendere che l’evento-referendum venga superato.

L’aumento di capitale di Mps è previsto che vada sul mercato subito dopo il 4 dicembre. Se il clima di incertezza sul sistema Italia sarà svanito, è possibile che la maxi domanda di capitali si incroci con l’offerta degli investitori privati. Ma se dal 5 dicembre in poi scattasse una fase di turbolenza finanziaria, anche in coincidenza con le decisive riunioni sulla politica monetaria della Bce (8 dicembre) e Fed (14 dicembre), che fine farebbe l’aumento di capitale di Mps? La banca ha ripetuto anche ieri di non avere un piano B. Dal folto plotone di consulenti finanziari del Monte, trapela da giorni l’indicazione del possibile rinvio di almeno un mese dell’operazione che quindi, in caso di instabilità dei mercati, slitterebbe a gennaio.

A sei mesi dall’esito negativo degli stress test condotti da Eba e Bce, che hanno visto Mps uscire con capitale negativo nello scenario avverso, il rinvio della ricapitalizzazione causa instabilità dei mercati non sarebbe certo rassicurante per i vari stakeholders della banca. Ed è dunque assai probabile, malgrado le smentite o non conferme di rito, che le Autorità italiane (ministero dell’economia e Banca d’Italia) facciano scattare immediatamente il piano B, già negoziato a luglio con la commissione Ue, che prevede la garanzia dello Stato alla ricapitalizzazione di mercato di Mps. Trattandosi di aiuti di Stato, sarebbero penalizzati gli obbligazionisti subordinati (come nel caso delle 4 banche salvate), a eccezione dei clienti retail a cui, con il già acquisito avallo informale di Bruxelles, sarebbero poi rimborsati i bond che vanno in scadenza a partire dal 2018.

Il piano B resta per ora un’ipotesi estrema, da attuarsi solo in caso di gravi turbolenze dei mercati. Ma è certo che le Autorità non possono e non devono farsi trovare impreparate. E prepararsi, anche nel peggiore degli scenari di mercato, a garantire immediatamente la stabilità del sistema finanziario.

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