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I big del credito europeo pagano la crisi sugli utili

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il confronto sul credito

I big del credito europeo pagano la crisi sugli utili

  • – di Antonella Olivieri

Crediti in sofferenza, eccesso di finanza rischiosa, carenze patrimoniali: non sono più solo questi i problemi che le banche si sono trovate ad affrontare dopo il fallimento della Lehman Brothers.

Adesso il costo della crisi - accompagnato a un contesto di tassi ai minimi di sempre, a una ripresa che non decolla e a un assetto regolamentare più esigente - arriva direttamente a incidere sulla redditività del settore, in discesa rapida. A grandi linee è questo il quadro che emerge dall’aggiornamento dello studio di R&S-Mediobanca dedicato alle grandi banche europee, che analizza e mette a confronto i dati del primo semestre dei 21 maggiori istituti continentali, includendo, per parte italiana, Intesa-Sanpaolo e Unicredit.

Redditività in calo

Nei primi sei mesi di quest’anno, dunque, il risultato netto aggregato dei 21 big del credito europei è calato del 20,7%, passando dai 47,86 miliardi della prima metà del 2015 ai 37,95 miliardi del primo semestre dell’esercizio in corso. La discesa sarebbe stata molto più brusca - il risultato corrente aggregato è infatti arretrato del 29,9% - se non ci fosse stata la provvidenziale cessione di Visa Europe a Visa Inc. della quale hanno beneficiato, come azioniste venditrici, 18 delle 21 banche considerate, con una plusvalenza complessiva di ben 6,56 miliardi di euro. Per Intesa la plusvalenza è stata di 170 milioni, per UniCredit di 306.

L’ultima riga del conto economico riflette un calo dei ricavi che sfiora il 10% (239 miliardi, -9,9%), non compensato dal taglio dei costi operativi che si ferma all’1% (161,86 miliardi l’aggregato dei costi). Mentre le perdite su crediti sono diminuite in valore assoluto, passando da 22,189 miliardi a 21,473 miliardi (-3,2%), ma hanno aumentato l’incidenza sul totale dei ricavi, con un peso salito al 9% rispetto all’8,4% dello stesso periodo precedente.

Il risultato netto sul totale dei ricavi - comprendendo sempre i 21 istituti - cala così al 15,9% dal 18%, il Roe (return on equity) al 6,1% dal 7,8%. Intesa però batte la media, con un Roe del 7,5% e un’incidenza dell’utile sui ricavi del 20,9%, sebbene i due indicatori siano meno brillanti di un anno fa quando il Roe era al 9,2% e l’altro parametro al 24,5%. Situazione opposta per UniCredit che, pur avendo migliorato Roe (dal 4,2% al 5,4%) e incidenza dell’utile sui ricavi (dal 9% all’11,5%), resta comunque sotto la media europea.

Nella panoramica continentale si evidenzia che sono salite a due le banche che hanno chiuso il semestre in rosso. Lo scorso anno c’era solo Rbs, con un risultato netto negativo pari allo 0,1% dei ricavi totali. Quest’anno oltre all’istituto britannico che ha peggiorato la performance, con perdite per 778 milioni salite al 10,9% dei ricavi, si è aggiunto anche il Credit Suisse con un rosso di 122 milioni, pari all’1,5% del margine di contribuzione. Da segnalare che il peggior risultato tra le banche che hanno chiuso in attivo è quello di Deutsche Bank, con 232 milioni di utili, pari all’1,5% dei ricavi, rispetto al risultato netto di 1,339 miliardi con un’incidenza del 6,9% sui ricavi registrato nella prima parte dell’anno scorso.

Allargando lo sguardo ai primi nove mesi, i ricavi complessivi sono calati del 7,2% e, nonostante le perdite su crediti siano diminuite del 17%, il risultato netto è sceso del 19,6%.

L’efficienza

In questo contesto il complesso dei big del credito è diventato meno efficiente con un rapporto cost/income tornato al 67,7%, vanificando così l’effimero miglioramento del primo semestre 2015 quando era sceso al 61,6%. Con il 67,6% le due italiane sono mediamente in linea col resto dell’Europa, mentre le svizzere e le tedesche spiccano per “inefficienza” con un rapporto tra costi e ricavi che è dell’87,4% per le due banche elvetiche (Cs e Ubs) comprese nel campione e dell’82,3% per le due tedesche (Commerzbank e Deutsche Bank).

Crediti meno dubbi

I crediti dubbi netti delle 21 banche considerate sono calati del 2,5% nel primo semestre: UniCredit ha fatto di più con un taglio del 5,6% (a 34,46 miliardi), Intesa un po’ meno con un -2% (a 30,39 miliardi). Entrambe hanno ceduto Npl, ma entrambe hanno anche segnalato un rallentamento dell’afflusso di crediti deteriorati. In particolare, Intesa ha evidenziato il più basso flusso semestrale di nuovi crediti deteriorati dal 2007, per UniCredit il rallentamento prosegue dal secondo semestre del 2012.

Resta il fatto che il peso dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche italiane rappresenta ancora un’anomalia assoluta nel panorama europeo. Infatti, nella media i primi due istituti italiani registrano un’incidenza dei crediti dubbi netti sul totale dei crediti alla clientela pari al 7,6% (8,4% Intesa, 7% UniCredit), contro l’1,9% della media europea che va dallo 0,4% delle banche elvetiche e dallo 0,8% delle tedesche fino a punte massime del 2,3% per singoli istituti (Bnp e SocGen). È però adeguato il livello di copertura che, senza considerare le garanzie collaterali ma includendo la riserva generica a fronte di crediti in bonis, arriva al 53,1% (in miglioramento rispetto al 52,7% di fine 2014 e fine 2015), mentre la media europea è del 56,1%. Le meno coperte sono le banche svizzere con un tasso del 37,8% (rispetto al 40,3% di fine 2015).

Gli attivi illiquidi

Gli attivi di livello 3 - i titoli illiquidi che hanno quindi un valore “presunto” - sono diminuiti nel complesso dell’8,6% a 213,9 miliardi, con un peso sul patrimonio netto tangibile dell’aggregato pari al 18,2%. Si conferma la moderazione delle italiane, con un peso medio dell’8,7% sul patrimonio netto tangibile, anche se la dinamica delle due banche è differente: Intesa ha aumentato gli attivi illiquidi dell’11,7% rispetto a fine 2015 (a 4,48 miliardi) con un’incidenza del 10,9% sul patrimonio netto tangibile; UniCredit li ha diminuiti dell’8,6% (a 3,19 miliardi) con un’incidenza del 6,7%. I più esposti a riguardo sono Credit Suisse che, pur avendo ridotto lo stock di titoli illiquidi del 10% in sei mesi (a 21,15 miliardi), ha ancora un’incidenza del 56,9% sul patrimonio netto tangibile; Deutsche Bank con un peso del 50,8% (-8,5% lo stock a 28,88 miliardi) e Barclays col 50,33% (-16,5% l’ammontare a 36,99 miliardi).

I derivati

R&S-Mediobanca conta un totale di oltre 5mila miliardi di derivati attivi presenti nei bilanci delle 21 banche considerate alla data del 30 giugno (in sostanza si tratta di quanti soldi sono dovuti alle banche dalla clientela a fronte di contratti derivati). Questo ammontare è tornato a crescere del 19,9% rispetto ai 4.2365 miliardi di fine 2015. Le spiegazioni possono essere due: è aumentato il fair value dei derivati per l’andamento del mercato o sono stati accesi nuovi contratti, dal momento che le banche cercano di compensare anche in questo modo il calo del margine di contribuzione dovuto al contesto di tassi ai minimi. Le più esposte sul fronte dei derivati sono Rbs con un peso del 36,2% sul totale dell’attivo di bilancio e 6,9 volte il patrimonio netto tangibile; Deutsche Bank con il 34,3% dell’attivo e 10,9 volte il patrimonio netto tangibile; Barclays con il 33,3% dell’attivo e 7,5 volte il patrimonio netto tangibile. Nella media europea il rapporto tra derivati e totale attivo è del 20,3%, l’ammontare è 4,3 volte il patrimonio netto tangibile. Le banche italiane si confermano tra le meno esposte in assoluto con il 9,5% di derivati sul totale dell’attivo e un ammontare pari a 1,8 volte il patrimonio netto tangibile (80,2 miliardi Intesa, 78,6 miliardi UniCredit).

La leva

Lo studio ha calcolato anche il leverage ratio, secondo i criteri di Basilea 3, istituto per istituto. Il ratio rapporta il Tier 1 al totale dell’esposizione: più è alto e minore è la leva finanziaria. A riguardo Intesa vanta il miglior “punteggio” in assoluto, con un leverage ratio del 6,6% rispetto alla media europea di 4,7%, poco sopra il 4,5% di UniCredit.

L’esposizione sovrana

Sui 21 big del credito considerati l’esposizione al debito sovrano (titoli di Stato e prestiti governativi) era pari a 2.016 miliardi a fine 2015 (si tratta di elaborazioni sugli stress test Eba, non ci sono dati più aggiornati), con un’incidenza del 9,6% sul totale dell’attivo. L’incidenza sale al 15% per le due italiane che presentano anche la maggior concentrazione in titoli domestici col 48,5% del totale dell’esposizione sovrana, contro il 25,2% delle banche Uk e il 24,6% delle banche tedesche. Sul rischio Italia UniCredit è esposta per 65,34 miliardi, Intesa per 50,46 miliardi: la somma fa 115,8 miliardi. Subito dopo ci sono le banche francesi, che hanno un’esposizione di 40,8 miliardi sull’Italia, mentre le tedesche sono più caute con 15,3 miliardi (di cui 10,28 miliardi Commerzbank e 5 miliardi Deutsche).

I ratio patrimoniali

Un cenno infine ai ratio patrimoniali. Il common equity Tier 1 a fine giugno era pari al 13% nella media europea, con Intesa al 12,7% e UniCredit al 10,5%.

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