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I produttori Usa di Shale Oil festeggiano

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LO SCENARIO

I produttori Usa di Shale Oil festeggiano

(Reuters)
(Reuters)

Per i sauditi il boccone è indigesto. La guerra contro lo shale oil americano, dichiarata due anni fa, è stata persa. Riad aveva “aperto le ostilità” nel novembre del 2014, quando al vertice Opec di Vienna impose di lasciare inalterata la produzione nonostante l’eccesso di offerta e i prezzi in discesa da mesi. L’obiettivo ufficiale era mantenere la quota di mercato.Quello meno esibito, ma perseguito con determinazione, era estromettere dai mercati un concorrente sempre più pericoloso: lo shale oil americano. I costi di produzione di questo greggio non convenzionale, nonostante fossero scesi, erano ancora molto alti - in media attorno ai 60-70 dollari al barile.

Se teniamo le quotazioni molto basse per un po’- devono aver pensato i sauditi - noi soffriremo, ma loro scompariranno . Nel dicembre 2015, sempre a Vienna, Riad prevalse ancora questa linea. E il greggio nei mesi successivi galleggiava su una media poco superiore ai 42 dollari al barile, ben lontano dai livelli del periodo 2011-2014, quando era ampiamente sopra i 100 dollari.

Per la miriade di piccole compagnie americane specializzate nel fracking, tecnica di estrazione più inquinante oltre che più costosa, il 2015 ed il 2016 sono stati anni molto difficili. Con diverse aziende finite alla bancarotta, e molte costrette a ridurre le trivellazioni. Eppure in questo periodo di prezzi bassi, le compagnie di fracking hanno mostrato una resistenza inaspettata. Molte di loro hanno fatto di necessità virtù, ottimizzando le tecniche di estrazione e migliorando l’efficienza. Così sono riuscite mediamente a ridurre i costi di estrazione del 40%, ma in alcune aree anche più del 50.

Verrebbe quasi da dire che i sauditi hanno fatto un doppio regalo all’industria dello shale oil americano. Prima l’ha costretta a migliorare l’efficienza, poi il taglio produttivo deciso mercoledì – 1,2 milioni di barili al giorno subito seguiti da un’impennata delle quotazioni petrolifere vicina al 10% – è arrivato come un regalo inaspettato per le compagnie di fracking. Pronte a riprendere le attività. Anche perchè nel giacimento di Bakken, tra i maggiori degli Usa, un prezzo internazionale di 45 dollari al barile è divenuto sufficiente a generare profitti per diverse compagnie.

L’annuncio del taglio produttivo dell’Opec è stato così salutato da molte aziende operanti nel settore shale con incrementi a due cifre dei listini. La Whiting Petroleum, il principale produttore di shale nella ricca zona di Bakken, ha chiuso le contrattazioni con un balzo del 30,3 per cento. A Wall Street la Devon Energy, che opera in Texas ed estrae 150mila barili al giorno (bg), ha registrato un un rialzo più “contenuto”: +14%. Quanto alla Eog Resources, numero uno americano dello shale oil con una media di 255mila bg, l’incremento si è fermato al 10 per cento, così come per Chesapeake Energy, attiva nell’Ohio. Concho Resources ha invece fatto +12%. I titoli che hanno realizzato le performance migliori sono stati quelli delle aziende attive nelle zone dove i costi di produzione sono più bassi, come Williston, Permian, Eagle e Ford.

Vi sono infatti aree dove il miglioramento delle tecniche di estrazione e dei processi di efficienza produttiva si è distinto più delle altre. Alcune compagnie operanti a Permian si vantano addirittura di avere costi di produzione inferiori ai 30 dollari. La nuova frontiera è proprio il bacino di Permian, una distesa arida del Texas che lambisce il New Mexico, dove negli scorsi mesi sono stati scoperti giacimenti da 8 miliardi di barili. I texani amano definire questa terra “Saudi America” o “Texarabia”. Se l’accordo dell’Opec dovesse tenere - sostengono gli analisti - da Permian potrebbero essere riattivati 150 pozzi. D’altronde, dallo scorso maggio il 60% dei nuovi pozzi già sviluppati per estrarre greggio il 60% si trova proprio qui.

Questa è la storia dell’ultima rivoluzione energetica made in Usa. Che ha portato la produzione americana dai 4,5 milioni di barili al giorno (mbg) del periodo 2005-2007 (l’import superava i 10 mbg) agli 11 milioni di barili al giorno del 2015. Per la prima volta in 20 anni gli Stati Uniti producevano più di quanto importavano. E lo shale oil superava, per volume produttivo, il petrolio convenzionale. Una storia probabilmente destinata a continuare. Che piaccia all’Opec oppure no.

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