Nell’agenda della politica «per il primo giorno dopo il referendum» il tema banche occupa il secondo posto, appena dopo l’immigrazione.
A indicare la classifica è intervenuto ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi, che al terzo posto fissa «il rapporto con la Ue». Ma è evidente che sia immigrazione sia banche sono esattamente i punti al centro del confronto con Bruxelles. Ma che cosa significa, in concreto, occuparsi del tema banche dal punto di vista del governo?
Le prime indicazioni arrivano dal pacchetto bancario che ha tentato di entrare alla Camera della manovra ma è inciampato nelle trattative politiche in commissione e potrebbe tornare al Senato oppure sotto forma di decreto a sé. Inutile dire che anche sulla formula inciderà il risultato del referendum e soprattutto le sue conseguenze sugli assetti politici. In ogni caso al centro del cantiere legislativo rimangono le good banks e le popolari, ma solo per l’ipotesi di alzare la soglia di attivo per la trasformazione di Spa, mentre il Monte rimane ai margini.
Nel merito, infatti, la regola più attesa dal mondo bancario è quella che chiede nuove risorse al fondo di risoluzione, ma permette di rateizzarle in cinque anni. L’ulteriore dote di liquidità al fondo è resa necessaria dal complicato processo di vendita delle quattro «good banks» nate dalla risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara, che è ancora al centro di difficili trattative e non riuscirà a recuperare gli 1,6 miliardi di prestito ponte versato da Intesa, UniCredit e Ubi. Chiedere tutto subito, però, imporrebbe di presentare un conto troppo salato alle banche finanziatrici, che sono peraltro in attesa dell’avvio dei motori del fondo europeo all’interno di un’Unione bancaria che viaggia a corrente alternata.
Sempre sulla fase di transizione delle good bank potrebbe arrivare qualche ritocco normativo per rafforzare il quadro attuale in tema di vigilanza, con l’obiettivo di facilitare la fase di vendita. In cantiere c’è poi un intervento sulle Dta (Deferred Tax Asset), per permettere di compensare i pagamenti effettuati a luglio a valere sul 2015 utilizzandoli come acconto per il 2016. La terza misura, che ha acceso la temperatura del dibattito politico fino a far cadere l’intero pacchetto, prova ad alzare da 8 a 30 miliardi la soglia dell'attivo sopra la quale le popolari devono trasformarsi in Spa (un’ipotesi che riguarderebbe soprattutto la Popolare di Bari).
Nell’agenda delle misure sul tavolo del governo si nota l’assenza di Mps, su cui Renzi rilancia «gli errori della politica» sulla storia del Monte, che il premier dice di «voler raccontare facendo nomi e cognomi». Ma non potrebbe essere altrimenti. La sorte di Rocca Salimbeni si gioca interamente sul piano di cessione degli Npl, aumento di capitale e piano industriale: a confermarlo sono le indicazioni arrivate dal ministero dell’Economia sul fatto che per gli obbligazionisti interessati dall’offerta di conversione non ci sono alle viste “piani B” in grado di offrire occasioni più favorevoli. Per capirlo basta ripercorrere il film della trattativa estiva con Bruxelles e Francoforte per ipotizzare possibili sospensioni o deroghe al bail in. Il confronto, peraltro incompiuto, si è concentrato soprattutto sulla possibilità di fermare i costi a carico degli investitori retail, che peraltro nella conversione devono fare i conti con il loro profilo di rischio Mifid, ma non è riuscito nemmeno a mettere in discussione quelli per i fondi istituzionali. Una prospettiva che si ripeterebbe analoga in caso di scenario avverso che imponesse l’intervento dello Stato o del fondo Esm nel salvataggio di Siena
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