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Banche e Npl, la soluzione deve essere europea

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L'Editoriale|In primo piano

Banche e Npl, la soluzione deve essere europea

Il 2016 si è guadagnato da un pezzo il poco invidiabile titolo di annus horribilis per le banche europee. Da gennaio i mercati hanno espresso valutazioni sempre più negative che si sintetizzano in capitalizzazioni di Borsa ben al di sotto dei valori contabili, l’indice più chiaro del pessimismo degli operatori sulla qualità dell’attivo di bilancio e sulla capacità di generare in futuro utili congrui. Due aspetti vanno sottolineati. Primo: il problema riguarda l’intera Europa e non solo la periferia dell’Eurozona né tanto meno solo l’Italia. Secondo: il sistema bancario del vecchio continente sta accumulando un ritardo sempre più preoccupante nei confronti di quello americano.

Le banche europee navigano da alcune anni in acque tempestose fra aumento dei crediti dubbi e bassa redditività, dovuta anche ad eccesso di costi operativi. Il risultato è che i prestiti dubbi hanno abbondantemente superato il trilione di euro, mentre la redditività media dell’attivo è mediamente 0,35 con molti Paesi, a cominciare dalla Germania, pericolosamente vicini allo zero. Il Fondo monetario ha detto chiaro e tondo nel suo ultimo rapporto che non basterà la ripresa economica (per quanto più robusta di quella attuale) per riportare le banche in condizioni di remunerare in modo adeguato il capitale e che occorre agire drasticamente sui costi operativi, riducendo eccessi di personale e di sportelli.

Tutt’altra aria quella che tira dall’altra parte dell’Oceano. Le banche hanno ridotto da un pezzo i dubbi sulla qualità del loro portafoglio titoli e prestiti; hanno una redditività dell’attivo intorno all’1 per cento e un rendimento del patrimonio del 10 per cento, che è superiore al costo del capitale e che può essere considerato congruo per un sistema che dovrebbe essere oggi meno rischioso di un tempo. La causa fondamentale sta tutta nella diversa risposta di policy. Gli Stati Uniti hanno reagito subito nell’autunno del 2008, prima con il piano Tarp e poi con un stress test in cui hanno dichiarato che le banche che non avessero coperto eventuali deficit sul mercato avrebbero potuto rivolgersi ancora al Tesoro.

L’Europa, secondo i dati Mediobanca, ha speso anche più degli Stati Uniti, ma ha imposto che ciascuno lavasse i panni sporchi in famiglia disperdendo così l'intervento in forme episodiche e non coordinate, che non hanno risolto il male alla radice: basti pensare che l'Irlanda che è stata fra le prime a costituire una bad bank che sembrava risolutiva (il 18 per cento del pil del paese) oggi ha sofferenze fra le più alte dell'eurozona. Le autorità hanno poi indotto le banche ad impegnarsi in vasti piani di ricapitalizzazione (oltre 260 miliardi a livello europeo), ma la strada si rivela sempre più difficile con queste valutazioni di mercato.

I dati pubblicati ieri dall'Eba confermano che il problema delle sofferenze si sta riducendo sì, ma troppo lentamente e riguarda una schiera sempre più ampia di paesi: ben dieci hanno un tasso di sofferenze superiore al 10 per cento del portafoglio prestiti. Ma questo è solo una parte del problema: l'altra è una redditività dell'attivo bassa (un terzo di quella americana, appunto) e riguarda anche i paesi in cui il tasso di sofferenze è inferiore alle media. La conseguenza è che due terzi delle banche hanno una redditività del capitale inferiore al costo relativo, dunque distruggono ricchezza. E quel che è peggio, lo stanno facendo da tempo e sembrano destinate a farlo per molto tempo ancora se qualcuno non interviene.

L'Eba ha documentato ieri, al di là di ogni ragionevole dubbio come direbbero nelle aule dei tribunali, che siamo di fronte ad un grave problema europeo che richiede soluzioni europee. Le armi da usare sono quelle tipiche di tutte le crisi bancarie: la cessione dei crediti ad appositi veicoli e l'approvazione da parte delle autorità di vigilanza di piani di ristrutturazione capaci di riportare le banche ad una redditività sostenibile.

Il primo punto è il più delicato. Il mercato dei crediti dubbi è piccolo e opaco: è illusorio pensare di affidare solo ad esso la soluzione dei problemi. Come è successo in tutte le crisi bancarie sono necessari veicoli appositi (la bad bank, ma anche altre soluzioni di ingegneria finanziaria) assistiti da apposite forme di coordinamento e anche da garanzie pubbliche. Ciò richiede la massima flessibilità nell'interpretare la compatibilità delle soluzioni con le norme in materia di aiuti di Stato. Del resto, l'Europa vieta solo quelli “cattivi” che mantengono in vita aziende fuori mercato. Qui non si tratta di coprire perdite a fondo perduto, perché dopo l'azione rigorosa compiuta dalle autorità di vigilanza, i valori di bilancio dei crediti sono oggi ragionevolmente allineati a quelli di recupero: per l'Italia lo ha detto esplicitamente il Governatore Visco. Abbiamo però bisogno di risorse che consentano di “comprare” il tempo necessario ad un ordinato smaltimento delle garanzie e nello stesso tempo facciano da catalizzatore per l'avvio di piani di ristrutturazione capaci di risollevare stabilmente la redditività bancaria. L'Europa deve finalmente riconoscere di avere un problema generalizzato in gran parte delle sue banche (e non concentrato in alcuni paesi) e deve trovare soluzioni adeguate a riportare la finanza al suo ruolo di sostegno dell'attività produttiva. E' una condizione fondamentale per la crescita futura, ma forse anche per la sopravvivenza dell'unione economica e politica.

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