Finanza & Mercati

Se il Monte dei Paschi diventa la linea del Piave

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L'Analisi|l’analisi

Se il Monte dei Paschi diventa la linea del Piave

«Nulla di nuovo sul fronte occidentale - ironizzava domenica notte un importante gestore estero dopo la vittoria del No - L’Italia è l’unico Paese al mondo che ha avuto 65 governi in 71 anni, quasi uno ogni anno a partire dal 1945: uno in più poco cambia». Ma se nel rischio politico finiscono le banche, come accadde nel 2011 con la crisi del governo Berlusconi, la prospettiva cambia: più che sulla legge di stabilità , è sulla stabilità delle banche e sul caso Mps che l’Italia e l’Europa rischiano la Caporetto: il salvataggio del Monte, insomma, rappresenta per tutti una nuova linea del Piave.

Se questo è il contesto, la partita sul salvataggio del Monte dei Paschi di Siena - e di riflesso la soluzione delle altre emergenze più o meno note - non prevede un finale pareggio: se l’Italia perde il Monte, l’Europa rischia di perdere molto di più dell’Italia. Come ha dimostrato la crisi della Grecia, il futuro dell’Eurozona si gioca sulle soluzioni politiche, non su quelle finanziarie: «La Bce non farà mai fallire la Grecia - disse lo stesso Draghi all’apice dello scontro tra Commissione e Tsipras - È una scelta che spetta alla politica». Poichè il legame tra banche e Stati resta il grande problema dell’eurozona e i titoli di Stato in portafoglio delle banche sono il veicolo di contagio delle crisi, la mancanza di una garanzia europea sui depositi dei risparmiatori non solo rende inutile l’Unione bancaria, ma persino dannosa per i paesi economicamente e politicamente più instabili: le asimmetrie economiche e finanziarie nazionali irrisolte, moltiplicano infatti le distanze tra paesi e le diseguaglianze sociali, accentuano la percezione negativa della moneta unica e dell’Europa e portano soprattutto a una distribuzione asimmetrica dei risultati generati dagli interventi ordinari e straordinari di politica monetaria. Per molti Paesi europei, Italia in testa, la caduta dei tassi di interesse Bce a quota zero ha riportato gli spread in zona di sicurezza, ma il risparmio sul debito non significa sicurezza del risparmio, che tra l’altro è un principio costituzionalmente garantito agli italiani. Il Bail in, il «burden sharing» e in generale le norme della direttiva BRRD sui fallimenti bancari hanno già intaccato duramente la fiducia dei risparmiatori e degli investitori su tutte le banche europee, considerate ormai dal mercato al pari di una «utility». Ma soprattutto, come conferma il caso-Mps, la vera minaccia per la sicurezza del risparmio e per la stabilità delle banche e della stessa eurozona non è la speculazione finanziaria, i non performing loans o la perdurante stagnazione economica: ad accentuare i problemi (e il rischio di crisi sistemiche) è la percezione di un sistema bancario iper-regolato, ingessato da norme palesemente pro-cicliche, amministrato da una pletora di authority e controllato in modo autoreferenziale da un esercito di quasi 5.000 tecno-burocrati a cui i governi europei hanno attribuito poteri e delegato scelte di carattere palesemente politico. Per questo è ora importante che il caso-Mps venga affrontato come un problema politico prima ancora che finanziario: Bruxelles, come il governo italiano, devono assumersi le proprie responsabilità, riaffermando il principio che se una crisi bancaria minaccia la stabilità di un intero sistema, sono le esigenze sociali ed economiche che devono prevalere su quelle tecniche. Questo principio vale non solo nei confronti della vigilanza o della Bce, ma anche per le istituzioni politiche europee: negare all’Italia il ricorso agli aiuti di Stato per evitare il fallimento del Montepaschi o di altre banche in crisi utilizzando le norme a difesa della concorrenza, può generare solo due risultati, peraltro convergenti: il panico tra i risparmiatori italiani e una conseguente fuga di capitali in grado di far saltare l’intero sistema industriale e finanziario nazionale da un lato, e il suicidio politico dell’Europa e dell’euro dall’altro. In altre parole, così come lo scontro tra la Commissione Ue e il Comitato di Basilea sul congelamento del pacchetto normativo previsto per fine anno ha scatenato una reazione forte dei governi contro gli eccessi dei regolatori, negare ora all’Italia il diritto di salvare Mps (o altre banche) rischia di innescare una reazione a catena che porterebbe a uno strappo mortale delle relazioni tra Roma e Bruxelles e alle prospettive stesse di sopravvivenza dell’euro e dell’Europa.

Sul caso-Mps, anche per le dimissioni di Renzi, si profila ora un nuovo scenario: il nuovo vertice della banca - affidato alla guida di Marco Morelli - ha venduto ciò che poteva vendere e rinnovato tutto ciò che doveva (come l’accordo con Axa sulla bancassurance), ma per mandare a termine l’aumento di capitale da 5 miliardi e la maxi-cartolarizzazione dei crediti in sofferenza, servono interventi straordinari di carattere sistemico, e soprattutto scelte politicamente coraggiose. Sia per l’Italia che per l’Europa. La flessibilità sugli aiuti di Stato che l’Europa concesse ai governi per ricapitalizzare le banche durante la crisi del 2011-2014, va usata oggi con l’Italia, l’unico Paese a non aver aiutato le banche 4 anni fa. L’articolo 32 della direttiva BRRD permette ai governi di erogare aiuti di Stato in caso di rischio sistemico per il fallimento di una banca, ed è chiaro il caso-Mps rientra in questa categoria. Più dei migranti, del terrorismo, del bilancio in pareggio o del futuro dei tassi di interesse, la tenuta del «banco» europeo è oggi appesa alla garanzia di sicurezza del risparmio delle famiglie, cioè alla tenuta del sistema bancario.

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