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I nodi da sciogliere post salva-banche

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LA QUESTIONE BANCARIA

I nodi da sciogliere post salva-banche

Più il “profumo” dei 20 miliardi messi a disposizione dal Governo per le banche in difficoltà si avvicina, più in Borsa si iniziano a soppesare i pro e i contro del piano di salvataggio. Se per le banche sane il pacchetto del Governo è senza dubbio positivo (perché elimina il rischio sistemico e toglie loro l’onere di dover salvare quelle in difficoltà), per gli istituti che potrebbero aver bisogno di aiuti pubblici non è facile soppesare i due piatti della bilancia. Cosa succederebbe agli oltre 2 miliardi di bond subordinati delle sole Veneto Banca, Carige e Popolare di Vicenza qualora fosse necessario un intervento pubblico? Cosa accadrebbe alla capacità delle banche di ottenere finanziamenti in Bce, qualora la Repubblica italiana venisse declassata di rating da Dbrs? Cerchiamo di dare qualche risposta.

Il nodo liquidità
Una delle possibili conseguenze indesiderate del piano salva-banche del Governo, è che l’agenzia di rating Dbrs potrebbe (il condizionale è d’obbligo) decidere di declassare l’Italia per l’aumento del debito. L’opinione dell’agenzia canadese è importante per le banche italiane, perché è l’unica che ancora mantiene per la Repubblica una valutazione nel campo delle “A”: questo permette alle banche italiane di ottenere più facilmente finanziamenti in Bce. La Banca centrale presta infatti liquidità agli istituti, purché questi portino titoli obbligazionari in garanzia. Ebbene: la quantità di denaro erogato, a parità di titoli offerti in garanzia, dipende dal rating di quei titoli. Dato che le banche italiane portano principalmente BTp alla Bce, se il miglior rating attuale dei BTp (cioè quello di Dbrs) scende, le loro possibilità di ottenere liquidità in Bce si riducono.

Lo scorso agosto Dbrs ha messo il rating dell’Italia sotto osservazione, con implicazioni negative, in vista del referendum costituzionale. E il prossimo 13 gennaio deciderà se declassare o meno l’Italia. La domanda è: se questo accadesse, cosa succederebbe alle banche italiane? Secondo gli analisti interpellati dal Sole 24 Ore, per la stragrande maggioranza di loro non ci sarebbero particolari problemi. Per alcuni istituti più in difficoltà, invece, questa decisione potrebbe creare qualche difficoltà a reperire risorse. Ma è anche vero che il decreto del Governo prevede specifiche misure per far fronte a eventuali crisi di liquidità. E che concede anche alle banche la possibilità di emettere nuovi titoli obbligazionari garantiti dallo Stato, da portare in Bce per avere finanziamenti. Morale: il problema Dbrs, di fatto, potrebbe essere in gran parte arginato.

Bond subordinati
Non è invece arginato quello dei bond subordinati. Per i bond di Mps il «burden sharing», cioè la penalizzazione prevista in caso di intervento statale, è ormai scontata. Ma il mercato teme che questo destino amaro possa toccare ai bond anche di altre banche: quotano infatti intorno al 40-45% del loro valore di emissione i titoli subordinati di Veneto Banca, Carige e Pop Vicenza. Si tratta di 27 titoli, dei quali 12 (per circa700 milioni) con le caratteristiche per essere collocati ai risparmiatori.
Eppure, nonostante queste quotazioni da «armageddon», non è affatto scontato che lo Stato debba intervenire davvero. Carige, per cui il mercato ipotizza una necessità di capitale pari a 300-500 milioni, ha infatti azionisti privati che potrebbero dare una mano consistente. Il fondo Atlante ha già assicurato alle due venete un miliardo di aumento di capitale nuovo. Sul mercato si calcola però che ne servano almeno 2. Ma non è detto che Atlante non trovi l’ulteriore miliardo. O che non arrivi da altri investitori. La partita, insomma, è aperta.

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