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Liquidità e ricapitalizzazione, entra lo Stato

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la questione bancaria

Liquidità e ricapitalizzazione, entra lo Stato

Palazzo Chigi, sede del Governo, in piazza Colonna a Roma
Palazzo Chigi, sede del Governo, in piazza Colonna a Roma

Il Tesoro diventa l’azionista di maggioranza del Monte dei Paschi. La bandiera bianca è stata issata su Rocca Salimbeni poco prima delle 21 di ieri sera, con un comunicato che ha sancito un risultato negativo atteso da giorni. Negli stessi minuti, al ministero dell’Economia si stava lavorando al testo del decreto da varare nella riunione notturna del Consiglio dei ministri sul salvataggio pubblico, in un confronto con la Commissione europea e la Banca centrale sui suoi snodi fondamentali.
A dare benzina al decreto salva-banche bis, in realtà più pesante del suo predecessore di 13 mesi fa (quello su Etruria, Banca Marche, Carichieti e Cariferrara) per dimensioni e valori in gioco, sono i 20 miliardi di indebitamento aggiuntivo una tantum autorizzati mercoledì dal Parlamento. Per il Monte ne sarà utilizzata solo una quota, che servirà a permettere al Tesoro di fare quel che non ha fatto il mercato: la cessione dei crediti deteriorati del Monte e il conseguente aumento di capitale da 5 miliardi per risalire sopra la soglia chiesta dalla vigilanza della Bce.

Il tentativo di mercato viene azzerato, e i bond subordinati sono restituiti ai titolari che avevano aderito all’offerta per la conversione volontaria. Il loro destino diventa quello della conversione forzata, al prezzo concordato con la Commissione europea per non inciampare nelle regole che vietano gli aiuti di Stato. Scatta quindi il burden sharing a carico degli obbligazionisti subordinati, che nel caso di Siena sono divisi quasi equamente in due famiglie. Quella degli investitori istituzionali, titolare di poco più di 2 miliardi di questi bond senesi, dovranno subire integralmente la perdita; per i circa 40mila piccoli investitori, che hanno in portafoglio un’altra fetta di titoli più o meno equivalente alla prima, lo Stato metterà in campo invece un meccanismo di rimborsi, anch’esso al centro di una trattativa serrata con Bruxelles. L’obiettivo, ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, è quello di «minimizzare o rendere inesistenti» le perdite, a seconda delle caratteristiche dei singoli risparmiatori, sulla base del presupposto (chiesto dalla direttiva Ue) che il loro profilo di rischio non fosse in linea con quello necessario per acquistare i bond, venduti senza fornire un’informazione adeguata al risparmiatore. Questo passaggio è indispensabile per il governo anche per attutire un po’ i contraccolpi politici dell’operazione, che spiegano anche la ragione per cui si è arrivati ad aprire l’ombrello pubblico alle soglie del Natale dopo lunghi mesi di sofferenza del Monte. L’esigenza di tutelare i piccoli investitori non è del resto scontata negli ambienti finanziari internazionali, come mostra per esempio un report diffuso da Bloomberg giusto ieri sera secondo il quale (sulla base di dati Bankitalia) gli italiani titolari di bond bancari (sono il 5,4% delle famiglie) hanno in media asset quasi doppi rispetto alla media nazionale.

Il burden sharing è comunque il prezzo pagato alle regole Ue fissate dalla direttiva del 2014 sul sistema bancario, che in alternativa avrebbe portato alla risoluzione della banca più antica del mondo presentando il conto anche ai titolari di depositi sopra i 100mila euro e ai possessori di bond senior, che invece restano al sicuro con il burden sharing.
Per far partire il meccanismo, come spiega l’articolo 32 della direttiva, l’intervento statale deve «prevenire» il rischio di «grave perturbazione» che arriverebbe all’economia in caso di risoluzione di una banca come il Monte e deve essere «temporaneo» (si veda Il Sole 24 Ore del 14 dicembre). Il Tesoro, quindi, prenderà le redini di Rocca Salimbeni per un periodo limitato, durante il quale via XX Settembre dovrà gestire la cessione delle sofferenze e il piano industriale chiamato a far tornare sul mercato un Monte reso solido dalla ristrutturazione. Per accompagnare questo percorso, il provvedimento varato ieri a Palazzo Chigi mette in campo le garanzie pubbliche sulle emissioni per sostenere la liquidità, che a Siena finirebbe presto secondo l’allarme lanciato dall’Unione europea. L’Italia può attivare entro l’anno garanzie fino a 150 miliardi, ma in questo caso il costo a carico del bilancio pubblico sarebbe limitato ai casi in cui la garanzia andasse poi effettivamente esercitata. L’altro strumento, già autorizzato dalla commissione Ue, è quello delle Gacs, le garanzie sulle emissioni di bond senior per gestire la cartolarizzazione degli Npl.

Il fondo da 20 miliardi appostato dal provvedimento servirà poi ad aiutare altri istituti in difficoltà, a partire da Veneto Banca e Popolare di Vicenza gestite dal fondo Atlante, ma saranno provvedimenti successivi a stanziare le risorse. Dal decreto arrivano infine gli altri interventi attesi dal mondo del credito, dalla possibilità di calcolare nell’acconto 2016 il canone delle Dta versato a luglio a valere sul 2015 fino alla rateizzazione in cinque anni dei nuovi apporti al fondo di risoluzione resi necessari dai problemi incontrati nella vendita delle quattro good banks nate dalle risoluzioni dello scorso anno (si vedano le schede in pagina).

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