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Il salvataggio di Stato non sarà una passeggiata

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L'Editoriale|L’EDITORIALE

Il salvataggio di Stato non sarà una passeggiata

Non sarà una passeggiata in discesa, quella della ricapitalizzazione precauzionale del Monte dei Paschi di Siena. Lo Stato entrerà nel capitale della terza banca italiana percorrendo una strada in salita, tortuosa, a tratti scivolosa. Le tappe sono obbligate, tracciate e delineate dalle nuove regole europee sugli interventi finanziari pubblici straordinari nel sistema bancario e dal fitto steccato di divieti europei che restringono, bloccano, arginano dove e come possono gli aiuti di Stato.

Il percorso di questo passaggio storico del Montepaschi è ripido, ulteriormente complicato dalla dimensione della tutela del risparmio, dalle norme recenti sul burden sharing che si applicano in un Paese come il nostro che vanta uno dei tassi di risparmio privato più alti in Europa e anche una delle quote più elevate di famiglie che investono in obbligazioni bancarie, senior e subordinate. La complessità del rafforzamento del capitale del Monte è data dai criteri prudenziali e dalle richieste del Meccanismo di vigilanza unico europeo, ora in seguito alla prova dello scenario avverso in uno stress test, ma la severità e la tempistica delle svalutazioni e degli accantonamenti su crediti incagliati e in sofferenza, le percentuali sempre più stringenti del CET1, l’asticella che viene spostata e continua a salire, sempre più alta, tutto questo diventano ora una rincorsa che va oltre il Montepaschi e che apre una fase più delicata perchè riguarda tutte le banche, grandi, medie, piccole. È un sentiero stretto che porta al traguardo di una maggiore stabilità del sistema ma intanto spinge la redditività degli istituti di credito sull’orlo del burrone. Si rischia così che gli stress test, ora troppo trasparenti ora troppo opachi, sconfinino oltre i bilanci bancari mettendo sotto stress la fiducia che cittadini e imprese ripongono nelle banche, la fiducia pilastro della crescita economica.

Il Monte ha trovato la porta d’ingresso del mercato chiusa: l’aumento di capitale è fallito e questo, oltre a catapultare l’istituto senese nel calvario dell’intervento pubblico, è un ammonimento per il sistema bancario tutto e per il sistema paese. Nell’ultimo decennio le banche italiane hanno conseguito un rendimento del capitale e delle riserve (ROE) al netto delle componenti di reddito straordinarie pari in media al 3,0 per cento, contro il 7,5 degli altri intermediari europei, scriveva la Banca d’Italia nel Rapporto sulla Stabilità Finanziaria lo scorso aprile, divario di redditività spiegato dal peggiore andamento del ciclo economico e “da un modello di attività fortemente orientato all’intermediazione tradizionale”: ammonendo, la Banca d’Italia, che ulteriori pressioni sulla redditività potrebbero verificarsi nel 2018 inseguito all’entrata in vigore del nuovo standard contabile sulla valutazione degli strumenti finanziari, e poi ancora la riforma sui requisiti prudenziali (Basilea 3), e quelli necessari per assorbire le perdite in caso di risoluzione (MREL). Se pur questi nuovi requisiti verranno ammorbiditi, la strada resta in salita.

Intanto il Montepaschi ha il suo, di percorso, tortuosamente in salita: chiedere allo Stato di entrare nel capitale non è una passeggiata. Lo si è visto già in questi giorni: la procedura è molto complessa, il Monte chiede sostegno finanziario allo Stato e il Tesoro chiede alla Bce fin dove può spingersi per non far staccare gli aiuti di Stato (fino a 8,8 miliardi). L’operazione di mercato è stata smantellata e con essa è sparito l’impianto della cartolarizzazione che contava su una quota equity da 1,2 miliardi in capo agli azionisti del Monte, una quota mezzanine da 1,6 miliardi sottoscritta dal Fondo Atlante, incagli svalutati con maggiori coperture per 1,2 miliardi. Un impianto che si reggeva sulla conversione volontaria delle obbligazioni subordinate per almeno 2 miliardi e sull’aumento di capitale dei privati. Tutto questo non esiste più. Ora occorre la stesura del nuovo piano, che coinvolgerà tanti attorno al tavolo, il Tesoro, il Monte, la Banca d’Italia, la Bce, la Commissione e la DG comp, tutti dovranno far tornare i conti e i numeri. Salvaguardando il risparmio, nel rispetto delle norme europee. L’azzeramento dei prestiti subordinati, perdita totale per i sottoscrittori, si sarebbe trasformato in un aumento di capitale da 4,7 miliardi (4,3 miliardi senza l’emissione FRESH). Ma così non sarà, soprattutto per i sottoscrittori retail del bond Upper Tier II 2008-2018 che potranno trasformare il titolo prima in azioni, poi in senior bond e poi forse in cash recuperando il 100% del capitale investito. Questa operazione in cambio della salvaguardia della fiducia, sotto stress per lo stress test, farà lievitare l’impegno dello Stato: ieri la Bce ha comunicato a Tesoro e Commissione che il deficit di capitale del Monte, alla luce della ricapitalizzazione precauzionale che tiene conto della conversione forzosa dei subordinati tutti, ammonta ora a 8,8 miliardi proprio per tener conto della procedura dell’intervento pubblico e burden sharing . Lo shortfall e CET1 del Monte deve rimanere confinato alle contrade di Siena e il parametro non deve estendersi oltre, va evitato che si espanda ovunque. Ogni caso è a sé. Vale il caso per caso. La fase è delicata e invece l’asticella ora si vede ora non si vede: serve totale chiarezza nei tempi, nelle modalità, nelle percentuali, nei numeri, nelle quote, per non perdere di vista il traguardo della stabilità del Monte e del sistema.

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