Dalle stalle alle stelle. Nel 2016 le materie prime hanno decisamente voltato pagina risollevando (almeno in borsa) le sorti delle società estrattive: con i prezzi di petrolio, minerali e metalli che registrano un recupero a doppia cifra percentuale, il settore delle risorse – il più maltrattato dagli investitori l’anno scorso – quest’anno ha trainato i listini a livelli record.
In barba ai pronostici del dopo-Brexit il Ftse 100, indice della borsa di Londra, in cui le minerarie hanno un peso rilevante, ha chiuso ieri al massimo storico di 7.106,08 punti, mentre a Wall Street il Dow Jones potrebbe presto raggiungere la fatidica e finora inafferrabile «quota 20mila».
A far volare il listino britannico – finora in rialzo del 13,8% da inizio anno – sono stati sostanzialmente tre settori: Industrial metals, che ha guadagnato più del 200%, Mining (+100%) e Oil & Gas (+50%). Nella Top 10 dei titoli migliori ben sei sono società minerarie: AngloAmerican è prima in assoluto con un rialzo superiore al 300%, dopo che la sua capitalizzazione era crollata in gennaio al minimo storico. Sul podio la affiancano Glencore, in rialzo di oltre il 200%, e Bhp Billiton, su di quasi l’80%. Nella parte alta della classifica, con rialzi tra il 50 e il 70%, ci sono anche Fresnillo, Rio Tinto e Antofagasta. Al nono posto compare una major petrolifera, Royal Dutch Shell (+45%).
Dall’altro lato dell’Oceano Atlantico la situazione è simile: se l’S&P 500 registra un progresso dell’11%, il merito è in gran parte del settore Metals & Mining, che ha recuperato oltre il 50%, e dell’Oil & Gas (+25%).
Fino a pochi mesi fa nessuno l’avrebbe immaginato. Ma dopo ben cinque anni di ribassi, i principali indici di materie prime hanno finalmente invertito la rotta: il 2016 si concluderà con una performance positiva intorno al 10% nel caso del Bloomberg Commodity Index, che solo a gennaio era crollato ai minimi da un quarto di secolo.
Il petrolio – che è tornato a scambiare ai livelli dell’estate 2015, oltre 55 dollari al barile per il Brent – è lanciato verso un rialzo annuo del 50% grazie ai tagli di produzione decisi dall’Opec in coordinamento con la Russia e alcuni altri grandi fornitori esterni al gruppo. Il recupero dei metalli industriali – con punte fino al 60% per lo zinco – permetterà all’indice Lmex, che rispecchia l’andamento del London Metal Exchange, di risollevarsi per la prima volta da 4 anni: il rialzo è finora del 21%, il più consistente dal 2010.
Altre commodities hanno riservato sorprese ancora più grandi: il minerale di ferro, nonostante un persistente eccesso di offerta, è raddoppiato di prezzo e lo stesso ha fatto il carbone termico, mentre il carbone da coke, impiegato in siderurgia, è addirittura quasi quadruplicato.
Per molte società estrattive quest’ultimo scorcio del 2016 ha riservato anche un altro, insperato regalo: il dollaro si sta apprezzando contemporaneamente alle materie prime, una tendenza che si verifica di rado (di solito c’è anzi una forte correlazione inversa) e che amplifica i profitti per tutte quelle società – come per l’appunto minerarie e petrolifere – che operano in gran parte in paesi emergenti, con valute che si indeboliscono quando il dollaro sale. In parole povere, i costi vengono scontati, mentre i ricavi aumentano.
Difficile dire se il 2017 continuerà a dare soddisfazioni al settore. I rischi non sono del tutto scomparsi dal panorama delle materie prime: si pensi ad esempio allo shale oil americano, che potrebbe tornare a crescere e di converso a deprimere le quotazioni del greggio, oppure alla Cina, la cui economia non è certo tornata a correre. Ma tra gli analisti e gli investitori, almeno per ora, è tornato l’ottimismo.
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