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Mediaset, si raffreddano le attese di un’Opa Vivendi

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Mediaset, si raffreddano le attese di un’Opa Vivendi

L’impressione è che si vada verso una guerra di posizione con Vivendi, da una parte, e Fininvest, dall’altra. In mezzo Mediaset che deve barcamenarsela col 70% del capitale in lite. In un’assemblea ordinaria probabilmente la spunterebbe l’azionista storico, che è in vantaggio con quasi il 40% dei diritti di voto, in un’adunanza straordinaria è invece probabile che lo sfidante, con quasi il 30% dei diritti di voto, riuscirebbe a esercitare la minoranza di blocco, impedendo operazioni strategiche sgradite.

Non è la situazione ideale nè per l’azienda, che comunque ha da difendersi anche dalla concorrenza, nè per quel che resta dell’azionariato di mercato che rischia, almeno nel breve, di rimanere a bocca asciutta. Due note emesse in questi giorni - quella di Natixis del 22 dicembre e quella di Mediobanca di ieri - concordano sull’improbabilità di un’Opa francese, almeno nel vicino orizzonte temporale. Natixis - che ha assistito i francesi nel rastrellamento-blitz delle azioni del Biscione - sostiene che prima di tutto Vivendi, in qualità di secondo socio, cercherà di avere una rappresentanza nel board e nel frattempo gli analisti del broker transalpino confermano per le azioni Mediaset la valutazione di 4 euro basata sui fondamentali, con raccomandazione che passa da buy (comprare) a neutral.

Anche per Mediobanca - che ha Vincent Bollorè come secondo socio, ma non ha ruolo in partita - l’opzione di un takeover ostile è «improbabile», «almeno nel breve termine» - aggiungono gli analisti di Piazzetta Cuccia - dal momento che «sembra improbabile» anche un accordo tra i due azionisti in contesa. Tuttavia «un gruppo come Mediaset, leader nella tv commerciale in Italia e Spagna, con forti competenze nella produzione di contenuti e un business nella pay-tv ben consolidato, rappresenterebbe una pietra angolare per qualsiasi società che fosse interessata a costruire una piattaforma media-contenuti focalizzata sull'Europa meridionale». Analogo il target price: 4,09 euro con giudizio neutral.

Sia Vivendi che Fininvest hanno raggiunto il tetto oltre il quale non possono crescere se non lanciando un’Opa, ma in presenza di una guerra di trincea entrambi gli schieramenti dovranno cercare l’appoggio del flottante. A riguardo va detto che , al netto degli acquisti dei due principali azionisti, con ieri è passato di mano il 25% del capitale dal 12 dicembre, quando Bolloré ha iniziato l’attacco. Anche se non si può escludere che parte dei titoli abbia fatto più di un giro, l’impressione - ai livelli di prezzo “pieno” raggiunti - è che chi doveva posizionarsi l’abbia fatto: si vedrà nei prossimi giorni se qualcuno avrà superato le soglie informative e uscirà allo scoperto. In Borsa infatti Mediaset, dopo un altro avvio scoppiettante, ha finito la seduta in calo dello 0,73% attestandosi a 4,092 euro. Sono rallentati anche gli scambi, sebbene abbiano riguardato pur sempre l’1,5% del capitale.

Queste sono le indicazioni che arrivano dal mercato, ma c’è un altro motivo per ritenere improbabile, se non addirittura impossibile, un’Opa di Vivendi in questo momento. L’articolo 43 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (Tusmar), al quale si è richiamata l’Agcom, prevede (al comma 4), in prima battuta, che siano «nulli» «gli atti giuridici, le operazioni di concentrazione e le intese che contrastano con il presente articolo». Al successivo comma 5 si precisa che l’Autorità ha il potere di inibire o vietare, se accertati, i comportamenti contrari alle disposizioni di legge. L’Agcom, dunque, ha la possibilità di fatto di cancellare gli effetti di un’Opa di Vivendi su Mediaset, dal momento che il gruppo presieduto da Bolloré esercita già “un’influenza dominante” su Telecom Italia e il Sic/legge Gasparri vieta di sommare il controllo dell’incumbent, che ha una quota del 44,7% nel mercato delle tlc, con quello del Biscione, che ha una quota del 13,3% nel mercato dei media. Per l’Authority risulterebbero quindi superati i tetti del 40% e del 10%, fissati dalla legge (e richiamati al comma 11 dello stesso articolo 43 del Tusmar), anche tenendo conto, come è stato nei dati comunicati, sia dei ricavi di Google che di Facebook.

In quest’ottica sarebbero vietati anche accordi di cogestione e perfino sarebbe tricky l’eventuale ingresso dei francesi nel board di Mediaset, perchè basterebbe per esempio accertare che questo consente un diritto di veto per far scattare i divieti di cui sopra. Ma, addirittura, pur restando ferma dov’è, Vivendi è già di fatto “vigilata speciale” per via dell’istruttoria aperta dall’Agcom che potrebbe vagliare anche se la sua quota sia in grado di condizionare/influenzare la condotta di Mediaset.

Inutile dire che Vivendi non condivide per nulla l’assunto che eserciti un’influenza dominante su Telecom. Tuttavia poichè l’Agcom è in grado di intervenire tempestivamente, trovarsi impelagati sul doppio fronte di un’esposizione finanziaria importante (la quota francese vale oggi circa 1,4 miliardi) e un contenzioso aperto sia con Mediaset (che reclama danni per 1,5 miliardi) sia con le autorità italiane non è il modo migliore per salvaguardare i propri investimenti.

Fermo restando che ancora a ieri sera non risultavano tentativi di abboccamento, l’unico modo di raggiungere un accordo - con il quadro regolamentare vigente e sempre ammesso che l’Agcom non abbia qualcosa da ridire a riguardo - sarebbe tramite lo “scambio di figurine”. Se cioè Fininvest accettasse di trasferirsi nell’azionariato di Telecom e se Vivendi a sua volta decidesse di traslocare in Mediaset, non ci sarebbe concentrazione in violazione della legge. I tempi però non sembrano maturi. E nel frattempo anche Telecom cede in Borsa, tornando a 0,8425 euro (-3,16%).

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