I Delisting seguono sempre un loro consolidato rituale. Quello di Parmalat non fa eccezione: chi vuole portare via dalla Borsa la sua azienda, in questo caso Lactalis il signore europeo del latte, offre un prezzo (2,8 euro) che definisce generosissimo e pingue. I soci di minoranza, rappresentati dal fondo Amber, che dovrebbero consegnare le loro azioni, gridano sempre a un prezzo ingiusto e scandaloso, cercando di alzare la posta (3 o addirittura 4 euro per azione). Niente di nuovo sotto il sole di Piazza Affari: va in scena un copione già visto in passato.
Ma stavolta, però, è diverso: Lactalis rischia un clamoroso autogol. Perché la stessa Parmalat, è scritto nero su bianco, sembra smentire il suo azionista sul prezzo, offrendo un assist involontario agli acerrimi nemici dei francesi. Il titolo Parmalat vale di più dei 2,8 euro messi sul piatto? Così la pensava, la presidente Gabriella Chersicla, nominata proprio da Lactalis.
Piccolo passo indietro di qualche mese: è il 29 aprile e a Milano, nell’insolita location dell’Hotel Melià (sotto la decennale gestione di Enrico Bondi tutto si faceva a Parma, ma i francesi hanno voluto dare un taglio col passato sotto molti punti di vista), si tiene l’assemblea dei soci. Dai tempi del crack di Tanzi anche questo appuntamento ha un suo, consolidato, rituale: le proteste folcloristiche dei risparmiatori truffati, che si presentano agitando confezioni di latte Parmalat (un po’ come faceva l’ex Ministro Tremonti con i barattoli di pelati Cirio sulla sua scrivania).
A queste si è aggiunto, negli ultimi anni, anche Amber, il fondo attivista (i critici preferiscono chiamarlo speculatore) che ha dato filo da torcere a Lactalis. Da diligente “disturbatore”, Amber elenca una serie di critiche ai manager di Parmalat, tra cui l’aver generato molto meno valore dei concorrenti e il prezzo di Borsa insoddisfacente. Una rimostranza che in altri tempi, e se non fosse partita un’Opa, sarebbe stata destinata al dimenticatoio. Solo che la risposta di Parmalat inguaia Lactalis: la presidente ribatte che il titolo «risente dei forti impegni finanziari» che il gruppo ha sostenuto per fare acquisizioni e investimenti, fermatisi invece sotto la gestione Bondi. E proprio per questo il gruppo «non esprime il suo potenziale reddituale». Lo farà «pienamente, una volta completati gli investimenti». Ecco l'autogol: a fine aprile Parmalat prezzava attorno ai 2,45 euro, appena 35 centesimi in meno dell'Opa. Ma dalle parole della presidente si desume che il titolo ora è sottovalutato e che dovrà salire in futuro. Chi è disposto a consegnare le proprie azioni a 2,8 euro quando la stessa azienda lascia intendere che potrebbero valere molto di più? Al mercato la risposta: anche ieri il titolo è salito (+1,24%) a 2,93 euro.
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