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La Cina contro i Bitcoin: usati per attacco speculativo allo yuan

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gestori sotto inchiesta

La Cina contro i Bitcoin: usati per attacco speculativo allo yuan

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Bitcoin è sotto attacco in Cina: per la Banca centrale di Pechino, infatti, dietro la fuga di capitali che sta destabilizzando il mercato finanziario e valutario cinese ci sarebbe infatti un attacco speculativo che avrebbe al centro proprio la valuta elettronica più importante del mondo. La Pboc (People's Bank of China), ritiene che gli speculatori stiano cambiando yuan con la e-currency per esportare capitali all'estero (o riciclare denaro) senza essere tracciati: tre gestori della e-currency sono stati messi sotto inchiesta e tanto è bastato per scatenare un'ondata di vendite che ha fatto precipitare del 12% a 909 dollari il prezzo del Bitcoin.

La caduta, per quanto significativa per una singola seduta, non ha però sgonfiato il guadagno finora accumulato da Bitcoin: mentre lo yuan ha perso il 6,5% negli ultimi 12 mesi (nuovo record negativo), Bitcoin è salita del 145% sul mercato cinese, dove già avviene il 98% del volume mondiali di scambi della valuta digitale.

Secondo la Pboc, la banca centrale cinese, all'ombra di Bitcoin sta proliferando non solo un mercato valutario parallelo non regolato o vigilato, ma anche una «corsia preferenziale» per l'esportazione illecita di capitali, il riciclaggio e l'evasione fiscale. L'Authority cinese era già intervenuta nel 2013 sul sistema bancario nazionale per bloccare il tentativo di trattare i Bitcoin come fossero una moneta reale: la «moral suasion» non sembra perè aver funzionato e nel mirino dell'inchiesta ci sono ora i tre grandi mercati della valuta digitale, BTCC, OKCOIN e HUOBI.

Nel nuovo «disordine globale» del commercio e della finanza, insomma, il boom delle valute alternative a quelle tradizionali comincia a diventare fonte di preoccupazione non solo per la Cina, ma anche per tutte le grandi autorità monetarie. La stessa Banca centrale cinese sta facendo sforzi enormi per sostenere lo yuan senza depauperare le riserve nazionali in valuta estera: da almeno tre anni, Pechino è infatti in testa alla classifica mondiale degli acquisti di lingotti d'oro, la più liquida delle riserve di valore in casi di emergenza finanziaria (si veda l'inchiesta di Alessandro Plateroti sul Sole24Ore del 21 e del 23 dicembre 2016). La vulnerabilità valutaria è per ora circoscritta allo yuan (il prezzo dei Bitcoin in dollari è considerevolmente più basso), che tra l'altro dal primo ottobre scorso è anche diventato «valuta di riserva» per il Fondo Monetario Internazionale con Dollaro, Euro, Yen e Sterlina: uno status che appare ora ben poco sostanziato dalla realtà dei fatti e dei mercati.

Ad accentuare la debolezza dello Yuan (e la corsa di bitcoin) ci sono anche fattori geopolitici:l'attacco frontale lanciato dal neo Presidente americano Donald Trump contro la Cina - accusata di manipolare i cambi, creare disoccupazione negli Usa e colonizzare il sistema industriale americano- ha generato forti tensioni sia sul piano diplomatico bilaterale che sul più vasto piano del commercio globale. In questo contesto e alla luce del rallentamento economico del Dragone si è creato un clima di incertezza sia sui mercati finanziari che per le stesse multinazionali,con il timore di guerre commerciali e tassazioni straordinarie: a farne le spese è stato così lo Yuan.

Ma la Cina non è la sola a preoccuparsi dell'ascesa dei bitcoin: sono state anche Europa e Stati Uniti sono in allerta sull'impatto di lungo termine che avrà la valuta elettronica sul sistema valutario internazionale. La Fed segue con preoccupazione gli effetti dell'apprezzamento del bitcoin sul dollaro e le altre valute di riferimento, mentre in Europa c'è timore crescente sul possibile utilizzo della valuta elettronica in alternativa all'euro in caso di un «trauma irreversibile» della moneta unica. Non a caso Paesi come l'Olanda, la Danimarca e la Svezia hanno avviato sperimentazioni sul varo di una nuova «blockchain» (è il nome delle valute elettroniche) alternativa a bitcoin.La stessa BCE è entrata in campo sia per tenere sotto controllo gli sviluppi dei progetti avviati dalle banche centrali nazionali sia per essere pronta ad affrontare i nuovi scenari aperti dall'affermazione dell'E-currency nelle transazioni commerciali e soprattuto finanziarie: le aree critiche sono state individuate da Francoforte nella cybersicurezza, nella vigilanza, nel settlement delle transazioni internazionali e nella stabilità finanziaria. Il tema è talmente caldo da essere persino diventato oggetto di programmi elettorali tra i movimeti no-euro: in Francia, per esempio la candidata della destra nazionalista Marine Le Pen ha definito bitcoin «una minaccia per il ritorno alle valute nazionali», arrivando ad attribuirgli un potenziale ruolo da «euro globale». «Se vinco le elezioni- ha detto la Le Pen- la Francia tornerà al franco francese»: una bocciatura secca per le aspirazioni della moneta digitale.

Comunque sia, è evidente che nessun Paese, valuta o sistema finanziario potrà fare a meno di confrontarsi con la sfida delle valute alternative a quelle tradizionali.L'instabilità costante dei mercati, le incertezze sui tassi, le insidie geopolitiche e soprattutto la precarietà della tenuta dell'eurozona stanno indiscutibilmente creando il terreno favorevole ad un nuovo change-over di cui nessuno può ancora fissare i confini.

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