Più che a Wall Street, è tra i cittadini e le imprese americane dove l’euforia per le promesse economiche di Donald Trump ha raggiunto livelli impensabili. Se la borsa ha tentato anche ieri di scalare un nuovo record, e c’è riuscita per un attimo nel corso delle contrattazioni, è la fiducia dei consumatori e delle imprese ad essere alle stelle. Che la si misuri con il metro dell’università del Michigan o con quello del Conference Board, l’ottimismo degli americani ha superato i livelli dei bei tempi, quelli che precedettero la grande recessione del 2008-2009. E, ieri, pure il clima di fiducia tra le piccole e medie imprese (secondo Nfib) è volato al picco del 2004 o, se si preferisce, ai livelli dei primi anni 80, quando l’entusiasmo suscitato da Ronald Reagan aveva fatto sognare l’America.
Gli analisti e gli economisti al servizio delle grandi banche d’investimento pensano che le probabilità di un pieno successo della cosiddetta rivoluzione di Trump dipendano in buona parte dalla popolarità che si saprà conquistare il nuovo presidente. Un Trump forte del consenso popolare potrà varare e far approvare riforme economiche, cui anche una parte del partito repubblicano guarda con un certo sospetto. Ma, se la popolarità di Trump sembra già altissima e la fiducia di consumatori e imprese assume i toni di una fede, il rischio vero potrebbe essere quello di una forte delusione nei prossimi mesi. Per ora, tutta l’attenzione è puntata sul discorso che il neo presidente terrà quest’oggi, per verificare quanto sarà mantenuto delle promesse elargite in campagna elettorale. L’impressione è che, dopo la manifesta disponibilità dei vertici di alcune grosse aziende (Gm, Fca e Toyota) ad investire negli Stati Uniti anziché in Messico, la decisione di Trump di imporre barriere doganali verrà semmai rafforzata: e un’imposizione del 10% sulle merci provenienti dal Messico, e forse anche dalla Cina, sarebbe garantita.
Molto dipende dalla facilità con cui il Congresso darà via libera alle proposte riforme, anche perchè, in molti casi, dovrebbe servire una maggioranza bipartisan. Ma la discrezionalità e il potere del presidente è tale da dettare la strada. È chiaro che la riforma sanitaria di Obama verrà in gran parte smantellata, con evidente soddisfazione delle società farmaceutiche e assicurative. È ovvio che si procederà a un drastico taglio delle tasse societarie: forse non fino al 15% promesso (dal 35% vigente), ma probabilmente al 25%, come stimano gli uomini di Goldman Sachs, che tanto spazio di manovra dovrebbero avere nella prossima amministrazione. Più difficile sarà tagliare le tasse individuali, ma una bella limata è quasi scontata. Come pure è probabile la revisione delle regole che furono imposte alle banche e alle società finanziarie dopo l’ultima grande recessione: con manifesta gioia dei grandi banchieri che non vedono l’ora di tornare ai facili utili che tra il 2003 e il 2007 avevano fatto credere che le società finanziarie fossero ancor più attraenti di quanto ci si immaginava fossero i titoli internet nella bolla del 2000. E, naturalmente, oggi Trump annuncerà le linee di quel piano d’investimenti in infrastrutture che, assieme alla cancellazione delle norme più severe a tutela dell’ambiente, pare la soluzione più facile e immediata nel miracoloso paniere della trumponomics.
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