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Big del petrolio e dell’auto alleati nel nome dell’idrogeno

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Big del petrolio e dell’auto alleati nel nome dell’idrogeno

Compagnie petrolifere e colossi dell’auto scendono in campo nella sfida per l’automobile «pulita» e scommettono sull’idrogeno: per le big del barile è una mossa dal sapore difensivo, visto che un’eventuale affermazione dei veicoli elettrici puri le taglierebbe fuori dalla catena di rifornimento dei trasporti.

Tra le petrolifere a schierarsi per ora sono solo l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e la francese Total. Ma dalla loro parte hanno dodici alleati di tutto rispetto, con i quali hanno creato il Consiglio per l’idrogeno, presentato a Davos a margine del World Economic Forum.

Nell’alleanza figurano importanti case automobilistiche: Toyota, Bmw, Daimler, Honda Motor e Hyundai. Al loro fianco ci sono anche Air Liquide e Linde, produttori di gas industriali (e di idrogeno), l’utility Engie, il gruppo Alstom (treni), Kawasaki Heavy Industries (motocicli, mezzi pesanti e aerospazio) e il colosso minerario AngloAmerican.

Le 13 società promettono di spendere almeno 10 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per promuovere la causa dell’idrogeno, che per il momento attira appena 1,4 miliardi di investimenti l’anno.

Toyota, che guida il drappello delle case automobilistiche, è stata vent’anni fa un precursore dell’auto ibrida (con la Prius) ma ha di recente “snobbato” il boom delle auto a batterie (elettriche “pure”) ed è invece quello fra i costruttori che più ha scommesso sull’auto a celle di combustibile - un’auto elettrica in cui l’elettricità per far funzionare il motore viene non da batterie ma da una reazione elettrolitica che sfrutta, appunto, l’idrogeno e lo combina con l’ossigeno dell’aria.

Toyota e Hyundai (anch’essa partecipante all’intesa) sono gli unici due costruttori che hanno già a listino un’auto a celle di combustibile.

Il dieselgate ha accelerato gli investimenti di quasi tutti i big dell’auto nelle tecnologie “pulite”, ma finora né l’auto a idrogeno né quella a batterie sono riuscite a sfondare: la prima risente della carenza di stazioni di rifornimento, la seconda di quelle di ricarica, anche se in teoria basta anche la presa di corrente di casa. Un vantaggio non da poco, anche se il tempo di ricarica è ancora piuttosto lungo mentre con l’idrogeno si impiegano pochi minuti per un pieno, come con la benzina.

Le stazioni di rifornimento per l’idrogeno sono tuttora una rarità, anche perché molto costose da costruire: tra uno e due milioni di dollari ciascuna, stima Kpmg. Secondo il dipartimento per l’Energia americano in tutti gli Stati Uniti si contano appena 33 impianti, di cui 26 concentrati in California. Si arriva a 58 se si contano anche le stazioni non aperte al pubblico, ad esempio in strutture militari.

Per questo lo sforzo dei promotori dell’iniziativa non dovrà essere isolato, nelle loro intenzioni, ma fare da volano per attirare un maggiore sostegno da parte delle istituzioni e da altri soggetti sul mercato, come ha evidenziato Takeshi Uchiyamada, presidente di Toyota, che insieme al ceo di Air Liquide, Benôit Potier, ha assunto la guida del gruppo.

«Cerchiamo collaborazione, cooperazione e comprensione da parte dei governi, dell’industria e soprattutto del pubblico», ha detto Uchyamada. «Non possiamo farcela da soli – gli ha fatto eco Potier – Abbiamo bisogno che i governi sostengano l’idrogeno con azioni proprie, ad esempio attraverso schemi di investimento in infrastrutture su larga scala». Anche per i fondi pubblici ci sarà una battaglia con le infrastrutture di ricarica delle batterie.

In Italia l’idrogeno è comunque stato inserito nel decreto legislativo appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale, con cui abbiamo recepito la direttiva sui carburanti alternativi: entro il 31 dicembre 2025 dovrà essere costruito «un numero adeguato» di punti di rifornimento accessibili al pubblico, tenuto conto della domanda e del suo sviluppo a breve termine.

Per l’idrogeno si possono riutilizzare oleodotti e serbatoi finora dedicati ai carburanti fossili, che in un futuro “carbon free” – per quanto lontano – le compagnie petrolifere sarebbero costrette a smantellare.

Per Big Oil c’è anche un altro punto a favore dell’idrogeno, tutt’altro che trascurabile: se il combustibile è a zero emissioni (l’idrogeno rilascia solo vapore acqueo in atmosfera) il sistema di produzione impiega gas naturale, un idrocarburo.

AngloAmerican, infine, che con Amplats controlla il 40% della produzione di platino, si assicurerebbe uno sbocco promettente: le celle a idrogeno, nei veicoli o in altre applicazioni, impiegano 160mila once di platino ogni 1.000 Megawatt di capacità installata. Nelle auto a batterie invece questo metallo non serve: ci vogliono piuttosto grandi quantità di litio.

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