Garantire la “stabilità” dell’assetto azionario delle Generali e difenderla da possibili incursioni esterne. Siano esse italiane o straniere. Sembra questo il senso della mossa voluta dai grandi soci delle Generali con cui la compagnia triestina ha annunciato ieri l’acquisto del controllo dei diritti di voto sul 3,01% del capitale di Intesa Sanpaolo, operazione che impedisce ora (salvo sorprese ) all’istituto guidato dall’a.d. Carlo Messina di superare a sua volta il 3% della compagnia del Leone in virtù della disciplina delle partecipazioni reciproche regolata dall’articolo 121 del Tuf.
Uno scoglio tecnicamente superabile solo con il lancio da parte di Intesa Sanpaolo di un’offerta pubblica di acquisto o di scambio su almeno il 60% del capitale Generali. Ma se sulla necessità di agire tempestivamente a difesa di Trieste ci sarebbe stato unanime consenso da parte dei grandi soci raccolti attorno a Mediobanca, non appare altrettanto scontato l’orientamento futuro degli stessi di fronte a un concreto progetto industriale “alternativo”.
La compagine azionaria delle Generali, per essere analizzata, può essere divisa in due grandi blocchi: quello che fa capo direttamente a Mediobanca o a veicoli a essa vicini e quello che ruota intorno a investitori terzi, ossia imprenditori autonomi come il gruppo De Agostini, Francesco Gaetano Caltagirone, Leonardo Del Vecchio e la famiglia Benetton.
Partendo da Mediobanca, Piazzetta Cuccia al momento ha direttamente il 13,04% del Leone ma la sua sfera di influenza vale un 2,2% in più grazie all’1,2% delle Generali custodito nella cassaforte Invag e all’1% che fa capo direttamente alla Fondazione Crt. In tutto fa 15,24%. C’è poi il gruppo di imprenditori che tra De Agostini (1,7%), Del Vecchio (3,16%), Caltagirone (3,55%) e Benetton (1%), gestisce un pacchetto del 9,4%. Complessivamente, dunque, il nocciolo duro dei soci di Trieste oggi conta su una quota vicina al 25%. Resta fuori il pacchetto dell’1,5% di proprietà di Ferak, la holding di Vicenza, controllata dalla famiglia Amenduni con il 38,8%, Palladio finanziaria e Finint con il 23,8% ciascuno, Veneto Banca con il 9,9% e la famiglia Zoppas con il 3,7%, che ha in portafoglio l’1,5% delle Generali (Intesa è socio al 5% di Palladio).
Secondo quanto raccolto dal Sole 24 Ore, il blitz a sorpresa nel capitale di Intesa Sanpaolo da parte della compagnia assicurativa sarebbe maturato nella giornata di ieri dopo un giro di consultazioni tra Mediobanca e gli imprenditori privati, in costante contatto nel corso dello scorso week end dopo le indiscrezioni di un possibile interesse di Intesa Sanpaolo verso Generali. Formalmente l’acquisto del 3% di Intesa Sanpaolo non è passato da alcun consiglio di amministrazione, ma l’operazione, si apprende, sarebbe stata appoggiata da tutti i soci privati. Insomma, un perfetto allineamento sull’urgenza di agire tempestivamente con una mossa difensiva. Tuttavia, si apprende, tra gli azionisti ci sarebbe altrettanta cautela nel spendere giudizi affrettati su disegni o piani allo stato attuale del tutto teorici. Perché ben venga la difesa delle Generali, ma a patto che non spiani la strada ad altre mire espansionistiche oltreconfine, leggasi Axa o Allianz. Senza contare che ormai da tempo il titolo Generali non da’ grandi soddisfazioni ai soci, con le azioni in Borsa che dopo i 19 euro toccati a marzo del 2015, durante la gestione di Mario Greco, sono tornate a viaggiare intorno ai 14 euro. Naturale, dunque, che qualsiasi progetto industriale, incluso un eventuale piano che porti la firma di Intesa Sanpaolo, sarà valutato attentamente e misurato sulla effettiva creazione di valore che potrebbe apportare. Diverso, invece, se l’intenzione di Intesa Sanpalo, come qualcuno racconta negli ambienti finanziari, fosse soltanto quello di creare in Generali un peso alternativo a quello di Mediobanca dove, la presenza in veste di primo azionista privato di un imprenditore come Vincent Bolloré, protagonista di incursioni della portata di Telecom Italia o Mediaset, non tranquillizza più l’entourage politico.
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