Dopo l’americana ExxonMobil, anche la big europea del petrolio, Royal Dutch Shell, delude le attese degli analisti. E non poco. Nonostante la ripresa del prezzo del barile, nel quarto trimestre 2016 gli utili (al netto di poste straordinarie) si sono fermati a 1,8 miliardi di dollari: addirittura un miliardo in meno rispetto al consensus. Per l’intero esercizio il profitto, a 3,5 miliardi di $, è stato il più basso da almeno un decennio, un risultato davvero misero dopo la fusione con Bg Group, che evidenzia le difficoltà con cui le compagnie stanno cercando di uscire dal tunnel della crisi, con le attività di esplorazione e produzione che stentano a recuperare e la redditività che ha intanto cominciato a crollare nella raffinazione.
Ma c’è di peggio. Proprio per via della maxi-fusione, completata un anno fa, Shell si ritrova con un debito che supera 70 miliardi (la leva è del 28%): un fardello che ha iniziato a ridursi, ma che è tuttora enorme, inferiore solo a quello che grava sulla disastrata brasiliana Petrobras, tra le compagnie quotate. Inoltre per Shell il ritorno sul capitale investito rimane di appena il 2,9%, irrisorio in un settore che difficilmente sanziona progetti che non garantiscano un Roe a doppia cifra percentuale.
Nonostante tutto nei conti della Major anglo-olandese non mancano segnali positivi. E il mercato, tornato decisamente ottimista sulle sorti dell’industria petrolifera, ha scelto di premiare Shell con un rialzo di oltre l’1% alla borsa di Londra. Da parte sua il ceo Ben van Beurden fa sfoggio di sicurezza: «La nostra strategia sta cominciando a dare frutti, anche se abbiamo ancora una lunga strada da percorrere», ha dichiarato a Bloomberg Tv.«Il 2016 è stato per noi un anno di transizione, il 2017 sarà quello in cui porteremo a termine la strategia».
Senza dubbio è incoraggiante il forte miglioramento dei flussi di cassa di Shell, con un balzo di quasi il 70% lo scorso trimestre rispetto a fine 2015, a 9,2 miliardi di dollari: abbastanza per coprire le spese e i dividendi (e questo per il secondo trimestre consecutivo).
Il debito, per quanto ingombrante, ha cominciato a ridursi, passando da 78 a 73 miliardi nel giro di tre mesi, un risultato raggiunto soprattutto grazie al buon progresso del piano di dismissioni. Solo negli ultimi quindici giorni Shell ha annunciato la cessione di asset per 5,5 miliardi di dollari, nel Mare del Nord, in Thailandia e in Arabia Saudita. La compagnia ha già completato o concordato deal per 15 miliardi, in linea con l’obiettivo di arrivare a 30 miliardi entro fine 2017.
Anche il taglio dei costi va avanti: il capex, già morigerato nel 2016 a 26,9 mliardi di dollari, scenderà quest’anno a 25 miliardi. E la produzione, grazie anche ai giacimenti portati in dote di Bg, continua ad aumentare. Dallo sviluppo di nuovi progetti la compagnia si aspetta un milione di barili al giorno in più (tra petrolio e gas) entro il 2018, rispetto al 2014. Col barile a 60 $ questo significherebbe un incremento di 10 miliardi di dollari dei flussi di cassa.
Conti ancora in rosso intanto per ConocoPhillips, ma il risultato trimestrale comunque mostra un miglioramento e supera le attese degli analisti: la perdita netta si è ridotta a 35 milioni di dollari dai 3,45 miliardi di un anno prima.
© Riproduzione riservata