Opacità non è solo un aggettivo di circostanza per definire il mercato della cripto-valuta: a nove anni dal suo debutto, e malgrado la caccia serrata delle autorità di mezzo mondo, nessuno può dire ancora con certezza non solo chi muova i fili del sistema valutario digitale, ma neppure chi sia il «genio» che ha lanciato la sfida nel cyberspazio valutario.
C’è da non crederci, ma neppure le inchieste dei grandi media americani sono finora riuscite a dare un nome e un volto al padre dei Bitcoin: ufficialmente, il software porta la firma di un presunto scienziato giapponese chiamato «Satoshi Nakamoto», ma di un ingegnere o esperto informatico con questo nome non c’è traccia né in Giappone né altrove. Nel 2014 la rivista Newsweek scrisse di avere identificato il vero Sakamoto, ma la persona interessata negò qualsiasi coinvolgimento. Nel dicembre 2015 Wired e Gizmodo ipotizzarono che dietro lo pseudonimo giaponese ci fosse in realtà l’imprenditore australiano Wright, esperto di sicurezza delle informazioni.
Tra le prove, i due magazine specializzati inserirono il cosiddetto “Tulip Trust”, un discusso fondo che Nakamoto aveva messo insieme agli inizi della valuta Bitcoin per conservare circa un milione di monete digitali. Se quel denaro fosse convertito oggi, frutterebbe oltre un miliardo di dollari.
A dare una svolta decisiva alle indagini furono invece le pressioni della Fed americana - la cui opinione sulla pericolosità di Bitcoin è la stessa della Bce: nel dicembre 2015, la polizia australiana condusse una perquisizione nella casa di Wright, cercando documenti di vario tipo. L’obiettivo erano le carte segrete di Bitcoin, ma le autorità di Sidney sostennero subito che la perquisizione era legata a una presunta evasione fiscale (di cui però si è persa traccia). L’anno scorso, Wright ha detto di voler mettere fine alle ipotesi di ogni tipo, giornalistiche e non, circolate sul suo conto riguardo a Bitcoin: «Ci sono un sacco di storie in circolazione e non mi va che coinvolgano persone a cui voglio bene. Non voglio che nessuna di loro sia toccata da questa vicenda. Non voglio essere il volto pubblico di qualcosa. Avrei preferito non averlo dovuto fare. Voglio lavorare, voglio continuare a fare ciò che voglio. Non voglio denaro. Non voglio fama. Non voglio essere venerato. Voglio solo essere lasciato in pace».
Resta un’ultima domanda: ma da chi vuole tenersi davvero lontano Mr. Wright? Dal fisco, dalla polizia o dai media?
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