Nel 2017 la Borsa di Wall Street non fa che macinare, giorno dopo, nuovi record. Tutti e tre i principali indici di New York, l’S&P 500, il Dow Jones e il tecnologico Nasdaq, viaggiano oggi su livelli inesplorati. Gli investitori stanno comprando le azioni statunitensi nonostante le quotazioni siano su multipli elevati, esprimendo valutazioni care. Eppure, pur non essendo certo a buon mercato, i capitali continuano a premiare la piazza azionaria statunitense. Da inizio anno la rivalutazione procede lenta e costante, in totale assenza di volatilità: il rialzo archiviato nelle prime 35 sedute del 2017 (escludendo sabati, domeniche e festività) è del 5%. In media Wall Street sta salendo, praticamente senza intoppi, dello 0,7% al giorno.
È evidente che alla lunga questo trend non può continuare, perlomeno con queste proporzioni anche perché dal 2009 la Borsa americana è salita del 160% a fronte di un aumento del Pil del 14%. Ma gli investitori in questa fase hanno paura di schierarsi contro la Borsa Usa perché la spinta rialzista è decisamente più forte rispetto alle timide tensioni ribassiste.
Il movimento favorevole dell’azionario non riguarda solo Wall Street. Complessivamente tutte le principali Borse del mondo stanno andando bene. Non a caso l’indice Msci World è sui massimi di tutti i tempi.
Stanno andando bene anche le “Borse che non t’aspetti”, come quella messicana. Da inizio anno sale del 4,5% in valuta locale e del 7% se si converte la performance in euro.
L’azionario globale continua a beneficiare dell’aumento dell’inflazione (il numero dei Paesi che in questo momento combatte con la deflazione si è drasticamente ridotto) che sta mettendo in ginocchio le storiche rivali delle azioni: le obbligazioni. I bond in circolazione soffrono le fasi di aumento dell’inflazione perché sono “costretti” a riprezzare nei rendimenti il nuovo scenario e l’unico modo che hanno per farlo è quello di veder scendere i prezzi (che si muovono in modo inverso rispetto ai rendimenti).
Quindi detenere in portafoglio obbligazioni è diventato più pericoloso che non acquistare azioni, per quanto queste (su tutte quelle di Wall Street) non abbiano più valutazioni scontate.
Tra le Borse globali è decisamente un caso a parte Piazza Affari. Se si esclude il listino di Mosca (l’indice Micex) che sta perdendo il 5,9% da inizio anno, Milano è l’unica Borsa tra le principali che da inizio anno è in rosso (-2%).
La vicina Francoforte sale del 4,5% e perfino quella francese al momento resiste in territorio positivo (+1%) nonostante i timori degli investitori circa l’esito delle elezioni presidenziali del 23 aprile (con eventuale ballottoggio il 7 maggio) che vedono l’anti-sistemica Marine Le Pen in bagarre.
Come mai Piazza Affari non sta partecipando al rialzo dell’azionario globale? Per la Borsa di Mosca la risposta è semplice: dopo esser volata del 60% nel 2016 sta attraversando una fase di fisi0logica correzione. Del resto l’amicizia tra Vladimir Putin e Donald Trump continua a produrre i suoi frutti sul fronte valutario con la grande rimonta del rublo.
Quanto a Milano la risposta è ancora una volta legata alle banche. Da inizio anno l’indice di settore cede l’8% e sta inevitabilmente pesando sulla performance dell’indice generale.
L’Italia sta provando con una riforma che prevede un intervento statale di 20 miliardi a mettere al riparo il settore bancario, su cui pesa però un fardello di circa 90 miliardi di crediti netti deteriorati, che potrebbe ampliarsi nei prossimi anni considerato l’ammontare rilevante di incagli. Ma non è semplice, soprattutto perché non è semplice in tempi relativamente brevi vendere (senza svendere) le sofferenze.
Poche ore fa Valdis Dombrovskis, vicepresidente per il settore bancario della Commissione europea, ha ribadito nel rapporto sugli squilibri macroeconomici, che «la fiducia nel settore bancario italiano è calata nonostante diverse misure prese dal governo» e che «il settore continua a essere vulnerabile agli choc».
«Le perfomance dei titoli italiani è sempre di gran lunga la peggiore vista l'incertezza che ruota attorno all'enorme massa di crediti deteriorati - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig- . Direi che gli investitori non si fidano e direi che 20 miliardi potrebbero non bastare. Basti pensare che solo Unicredit ha svalutato 12 miliardi e i valori iscritti in bilancio potrebbero non essere ancora allineati a quelli reali».
Allo stesso tempo, bisogna ammettere che gli investitori sono solo prudenti ma non in fase “panic selling” sulle banche italiane. Lo dimostra il fatto che gli attuali valori delle banche italiane restano superiori rispetto ai minimi segnati a novembre 2016. «Se ci fossero state preoccupazioni eccessive circa lo stato di salute del sistema bancario italiano, allo stato dell'arte attuale, avremmo avuto presumibilmente quotazioni significativamente più basse, questo però non è avvenuto - spiega Matteo Paganini, strategist di Fxcm -. Non ancora, per lo meno. Il rischio più grosso che vediamo per l'azionario italiano è determinato da possibili scenari di risk-off globali che potrebbero acuire lo “spread” tra i massimi delle Borse. Se infatti dovessero partire ricoperture importanti, con fuoriuscite di capitali da Asia ed America, è possibile che si vivano correzioni con ritmi diversi in Europa, con l'Italia sotto i riflettori in quanto, anche con un sistema bancario più solido, la fiducia nel Paese e la capacità di attrarre investimenti si trovano ai minimi storici».
La debolezza del settore bancario italiano potrebbe essere amplificata o mitigata da fattori esogeni, in particolare dall’esito delle elezioni presidenziali in Francia. Ecco perché in questo momento gli investitori sono guardinghi, tanto sulle banche italiane, quanto sui titoli di Stato di Francia e Italia, con i rispettivi spread con il Bund tedesco in aumento.
Molto dipende quindi anche dalla Francia. «Se i timori politici dovessero dissiparsi - prosegue Longo - il forte sottopeso che c'è sull'Europa potrebbe mettere il turbo ai listini europei, Italia in particolare, con movimenti simili a quelli visti a dicembre».
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