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Listini Usa, se l’euforia irrazionale riempie il vuoto

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L'Analisi|l’analisi

Listini Usa, se l’euforia irrazionale riempie il vuoto

«Compra sui rumors e vendi sulla notizia». È un vecchio adagio dei mercati. Che può applicarsi (anzi, si sta applicando) anche al programma economico di Donald Trump. Sennonché, nel caso degli attesi particolari del progetto del nuovo inquilino della Casa Bianca, i rumors paiono «infiniti». E, soprattutto, senza un minimo di contorno. Certo: alcuni osservatori sottolineano che Trump dica più di quanto si pensi. Nel suo recente discorso al Congresso in seduta plenaria sarebbe risultata chiara l’intenzione di stare con Paul Ryan e i repubblicani della camera bassa. Vale a dire: «tagli aggressivi delle tasse finanziati dalla border tax», come sottolinea Alessandro Fugnoli. Non solo. I toni collaborativi e pacati, usati nel suo intervento, sarebbero l’indicazione di come Trump vada calandosi nella parte del «Commander in chief». Un Premier che, finalmente lasciatosi alle spalle gli atteggiamenti umorali e rancorosi, possa guidare con equilibrio la prima potenza economico-militare del pianeta.

Ciò detto, però, le perplessità e i timori rimangono immutati. In primis, nonostante le Borse abbiano reagito positivamente all’intervento dell’ex presentatore di «The apprentice», il timore è di essere di fronte all’ennesima patologica recita di un camaleonte della politica. Cioè: la strategia dell’effetto-sorpresa, suggerita dal maestro dei «cattivi» consigli Stephen Bannon, è stata fin qui un’arma vincente di Trump. Di conseguenza pensare che il Presidente voglia abbandonarla è da ingenui. O, perlomeno, non basta una singola recita ad ipotizzare che l’attore abbia cambiato personaggio.

Inoltre, tornando sul piano econonomico, le indicazioni su come fare concretamente le cose restano veramente fumose. Le promesse di tagli fiscali sugli utili aziendali, di sostegno all’economia interna, di investimenti nelle infrastrutture sono reiterate da tempi indefiniti. La modalità di come centrare simili obiettivi, invece, non appare mai all’orizzonte. Sia ben chiaro: non si domanda un piano particolareggiato in ogni singolo aspetto. Simili «grandiosi» progetti richiedono indubbiamente tempo. E, tuttavia, qualche maggiore indicazione sarebbe necessaria. Al contrario si resta, sempre e comunque, a livello di «rumors».

Ebbene: di fronte ad un simile scenario i listini dovrebbero quantomeno porsi delle domande. Invece Wall Street, seppure ieri ha rallentato, macina record su record. E questo nonostante diversi esperti abbiano più volte messo in allarme sul rischio della bolla. Il P/e di Shiller, calcolato sugli utili dell’S&P 500 di un decennio per eliminare l’effetto del ciclo economico, viaggia attualmente intorno a 29,8. Vale a dire un livello del 78,4% più in alto della sua media storica. Non solo: la capitalizzazione totale delle Borse Usa è il 132,1% del Pil americano. Una percentuale che, secondo i calcoli di Gurufocus.com, indica la forte sopravvalutazione dei listini.

Insomma: le Borse rischiano la bolla. E, però, nessuno vuole sentire parlare di ritracciamento dei corsi azionari. «È in atto la grande rotazione», ripetono in coro molti esperti. A fronte del ritorno dell’inflazione, oltre che dell’atteso secondo rialzo dei tassi da parte della Fed, gli operatori abbandonano le obbligazioni per abbracciare le azioni a stelle e strisce. Non c’è alcuna euforia irrazionale. Sarà! Per l’intanto può notarsi una cosa. Nei primi giorni della presidenza di Trump il Russel 2000, cioè il paniere delle società Usa a media capitalizzazione e con business più locali, aveva sovraperformatol’S&P 500. Un effetto, si era detto, del focus di Washington sull’economia domestica. Oggi, però, le multinazionali dell’S&P 500 sono tornate a battere il Russel 2000. Un paradosso. O forse...l’indizio dell’euforia irrazionale.

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