Per Atlante si avvicina il momento del «lascia o raddoppia» su Banca Popolare Vicenza e Veneto Banca. Ma sarà tutt’altro che un gioco. Il fondo, che ha già investito quasi 3,5 miliardi sulle due banche, nei prossimi giorni dovrà scegliere tra due alternative, entrambe poco attraenti: investire sul capitale tutti (o quasi) gli 1,75 miliardi che ha ancora in pancia nel secondo veicolo del fondo salva-banche (in teoria destinato agli Npl), oppure lasciare la presa e concentrarsi su altre partite, aprendo così la strada a una maxi-ricapitalizzazione da parte dello Stato e al quasi azzeramento del proprio investimento fin qui effettuato.
Finché la Bce non fisserà il fabbisogno di capitale lo scenario resta ipotetico. Ma secondo diverse fonti vicine al dossier contattate da Il Sole 24Ore, le probabilità che le banche giungano inevitabilmente al bivio già nei prossimi giorni sono elevate. Prima comunque ci sarà da aspettare l’esito della conciliazione con i soci dei due istituti, che si chiude mercoledì: è l’unico modo per liberare le due banche dalla spada di damocle di un contenzioso gigantesco, con rischi potenziali stimati intorno ai 5 miliardi. Per le due banche sarebbe una specie di condanna alla paralisi, che però - stando all’accelerazione delle adesioni dei giorni scorsi - pare ancora evitabile. Le adesioni alla proposta di transazione offerta delle due banche per ora si attestano ad oltre il 60%. Un livello che fa ben sperare per il raggiungimento dell’80%, soglia indicativa affinchè i rimborsi prendano forma. Un’alta adesione all’offerta transattiva eliminerebbe peraltro il rischio contenzioso, in presenza del quale le banche rischiano di non essere solvibili e di non poter accedere alla ricapitalizzazione precauzionale.
Archiviata la partita delle transazioni, si aprirà dunque quella della ricapitalizzazione. Il cui ammontare dovrebbe aggirarsi intorno ai 5 miliardi, a beneficio del bancone Veneto-Vicenza. A carico di chi? Senz’altro in buona parte dello Stato, a cui le banche si sono formalmente appellate venerdì, visto che privati non se ne vedono. A parte Atlante, che a sua volta dei 5,5 miliardi versati sui due fondi ne ha soli 1,75 miliardi residui. Non è moltissimo. Per di più, le risorse formalmente sono in carico ad Atlante 2, il veicolo destinato a rilevare gli Npl, ma in teoria l’ostacolo è aggirabile per volere dei quotisti cambiando il regolamento del fondo. E qui si materializza il bivio: meglio riversare altro capitale nelle venete o concentrarsi sulle sofferenze? I colloqui tra i soci sono in corso. Buona parte dei quotisti preferirebbe la seconda opzione, come ha ribadito in settimana il ceo di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina. Anche perchè l’investimento in Atlante fino ad oggi si è rivelato un boccone amaro, come segnalano le pesanti svalutazioni registrate a bilancio. Ma la situazione è fluida, e non si esclude che alla fine il consenso degli investitori possa coagularsi intorno alla scelta di rimpolpare l’investimento. Per evitare il rischio della risoluzione con annessi effetti sistemici, ma - più laicamente - anche per difendere i 3,5 miliardi investiti dal depauperamento contabilizzato finora. Nel caso in cui l’aumento fosse integralmente a carico dello Stato, infatti, Atlante - oggi socio oltre il 90% in entrambe le banche - si troverebbe con la quota di minoranza di una banca a controllo statale. E quindi con una partecipazione illiquida e di scarso appeal. Un buon motivo, insomma, per non lasciare ma “raddoppiare”. Anche se, come si diceva, non è detto che la quadratura del cerchio regga comunque. Tutto dipende, infatti, dal fabbisogno di capitale fissato dalla Bce così come dalla trattativa non facile con la Dg competition della Commissione europea: come sta avvendendo con Mps, spetta infatti a Bruxelles autorizzare l’aiuto di stato disciplinando il burden sharing (cioè il prezzo a cui verranno convertiti i bond in azioni) e la copertura delle perdite certe e prevedibili sugli Npl. Variabili non irrilevanti, visto che serviranno a determinare la riduzione del capitale fin qui immesso da Atlante e quindi la possibilità di rimanere socio di maggioranza versando gli 1,75 miliardi che restano. Che rimane condizione necessaria per convincere i quotisti a un ulteriore sforzo sul capitale.
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