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Vicenza e Veneto, escluso il bail-in

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Vicenza e Veneto, escluso il bail-in

  • –Katy Mandurino

milano

All’indomani della richiesta ufficiale di ricapitalizzazione precauzionale che Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno rivolto al Mef, a Banca d’Italia e alla Bce, la situazione dei due istituti veneti è tutt’altro che risolta. Di fronte all’appello agli aiuti di Stato, la Banca centrale europea è chiamata ora a stilare un calcolo preciso dello shortfall reale (ammanco) per le due banche - che misurerà anche sulla base degli stress test del 2016 (che si rifanno ai dati 2015) -, calcolo che sarà poi al fondamento della determinazione dell’aumento di capitale necessario per la sopravvivenza e il rilancio. Nell’aumento di capitale - che dovrebbe essere stimato attorno ai 4,7-5 miliardi di euro per entrambe le banche - sarà sicuramente conteggiato il miliardo e 200 milioni rappresentato dal valore dei bond subordinati (tolti i 200 milioni retail), che saranno trasformati in azioni. Ma non i bond senior, che ammontano per le due banche a circa 3 miliardi. L’intervento dello Stato, infatti, chiarisce un punto fondamentale sul quale in questi giorni c’è stata molta incertezza: le obbligazioni senior vengono messe al sicuro proprio dalla garanzia pubblica. La stessa che automaticamente dovrebbe azzerare il rischio bail-in.

L’incognita resta sul ruolo dello Stato; se, cioè, la ricapitalizzazione precauzionale determinerà un ruolo di maggioranza pubblica. La dinamica è complessa: tutto dipenderà da come viene valutato il “peso” di Atlante. Il decreto Salva-banche da 20 miliardi messo in campo dal Governo, così come è strutturato, non contempla la possibilità di una operazione mista pubblico-privato. Ma nell’ipotesi in cui questa fosse ammessa, non è chiaro come verrebbe valutato il capitale messo a disposizione da Atlante, se cioè esso possa essere svalutato oppure essere considerato “pesante” alla stessa stregua dell’intervento statale. Potrebbe anche succedere che, quel miliardo e 700 milioni destinato all’acquisto di Npl che potrebbe essere dirottato sui nuovi aumenti di capitale delle due venete, sommato al quasi miliardo messo a disposizione a gennaio sempre da Atlante e ai 2,5 miliardi che il fondo gestito da Quaestio ha già speso per acquisire le due ex popolari, venga considerato “di valore” quindi sufficiente per rappresentare la maggioranza del capitale e in grado di mettere in una posizione di minoranza l’intervento dello Stato. Chi decide questa valutazione? Si tratta di una discussione e di un chiarimento che dovrà intercorrere tra il ministero dell’Economia e il DGComp, la direzione generale europea per la competition, ovvero l’Antitrust europeo.

La formale richiesta di ricapitalizzazione precauzionale che è stata fatta venerdì dalle due banche venete, laddove ribadisce che i due istituti sono solvibili, dice tra le righe una cosa importante e cioè che, poiché per determinare la solvibilità non è dirimente il risultato dell’Offerta pubblica transattiva, in corso fino a martedì 22, bensì lo sono gli indici patrimoniali, in primo luogo l’Lcr e la capacità di poter ripianare le perdite pregresse, Popolare di Vicenza e Veneto Banca possono permettersi di accettare un esito dell’Opt fermo attorno al 60-70% di adesioni. Comunque, il rischio litigations sarebbe ridotto notevolmente e si potrebbe procedere poi ad una valutazione più serena anche del rischio cause (i reclami - non le cause - sono all’incirca 10mila a Vicenza e 6mila a Montebelluna). Secondo gli ultimi dati a disposizione, le adesioni sono al 56% del perimetro quote per Veneto Banca e al 53% per la BpVi, percentuali che salirebbero al 60% circa per entrambe le banche sulla base degli appuntamenti già fissati in filiale per i prossimi giorni.

Intanto, anche se i tempi per la fusione si allungano, il progetto è stato ulteriormente caldeggiato - e allegato - anche nella missiva dell’altro giorno alla Bce. La quale sembra aver chiesto due piani industriali separati solo per necessità, visto che le due banche non sono ancora fuse. Ma la richiesta disgiunta sembra non aver nessuna influenza sul piano di fusione. Che resta l’ultima e definitiva “spiaggia” per le due ex popolari. E che passerà inequivocabilmente attraverso la razionalizzazione dei costi - ora le due banche spendono all’anno all’incirca 200 milioni solo di consulenze - e gli esuberi, destinati a salire rispetto ai 1.500 ipotizzati solo qualche mese fa.

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