Il greggio resta debole, sulla scia ancora una volta dell’offerta abbondante. Le estrazioni negli Usa sono in crescita e le scorte hanno corretto al rialzo i recenti record storici. La produzione in Libia poi è in veloce ripresa e tutto questo sta rendendo meno efficaci le strategie di tagli produttivi fissate dall’Opec, che a sua volta continua a cercare l’apoggio dei Paesi esterni al cartello. Un mix di elementi che ieri, in una seduta caratterizzata da un’elevata volatilità, ha spinto in basso il prezzo del Brent, che ieri durante la seduta è sceso ampiamente sotto la soglia dei 50 dollari al barile (il minimo da quattro mesi) per poi riavvicinarsi ai livelli della seduta precedente (50,96 dollari). Stesso andamento per il nordamericano Wti, che ha toccato un minimo di 47,01 dollari per poi riportarsi sopra quota 48, contro i 48,24 dollari di martedì.
Procedendo per ordine, ieri a indebolire i prezzi (che peraltro hanno un qualche sostegno dall’indebolimento del dollaro) , è stata la pubblicazione dei dati sulle scorte settimanali Usa da parte dell’Eia. Gli stock americani di greggio sono saliti (ben oltre le attese) di 5 milioni di barili al livello record di 533,1 milioni di barili. Quelli di benzina sono invece diminuiti di 2,811 milioni di unità a 243,468 milioni, dopo il calo di 3,055 milioni di barili dei sette giorni precedenti e la frenata di 2 milioni di barili attesa. Le scorte di distillati, che includono il combustibile da riscaldamento, sono scese di 1,91 milioni di unità a 155,393 milioni di barili, dopo il ribasso di 4,229 milioni di barili della settimana precedente e il rallentamento di 1,7 milioni di unità previsto. L’utilizzo della capacità degli impianti è salito dall’85,1% all’87,4% (anche questo dato è superiore alle attese). A catalizzare l’attenzione però è stato l’aumento delle scorte di greggio, «favorito - ha commentato ieri Abhishek Kumar, senior analist all’Interfax di Londra - da un accelerazione dell’import dal Canada e dal graduale aumento delle estrazioni Usa». Da notare come grazie alla maggior produzione di shale oil, l’output statunitense viaggia ormai al ritmo di 9,1 milioni di barili al giorno (mbg), contro una media 2016 di 8,9 mbg.
Da notare anche sui mercati internazionali comincia a sentirsi anche il ritorno del greggio libico. Con il lento migliorare della pur sempre grave situazione nel paese dilaniato dalla guerra, la produzione di petrolio è salita in febbraio a circa 700mila bg, contro i 260mila bg di agosto (restano comunque lontani i picchi di 1,6 mbg del 2011). E l’obiettivo - secondo la compagnia statale National oil corp, è salire fino a quota 1,1 entro il prossimo agosto.
Tutto questo sta quindi rendendo meno efficace l’accordo Opec (appoggiato da un gruppo di Paesi produttori esterno al cartello, tra cui la Russia) raggiunto in 30 novembre scorso per ridurre l’offerta del cartello di 1,8 mbg nel primo semestre del 2017. Da ricordare che non tutti i Paesi firmatari dell’accordo stanno riuscendo a mantenere gli impegni presi.
Per i prossimi mesi tuttavia non è escluso un recupero dei prezzi, che secondo Saxo Bank, potrebbero tornare a 60 dollari al barile nell’ultimo trimestre nel caso l’Opec decida di estendere i tagli produttivi fino alla fine dell’anno.
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