L’istruttoria avviata dall’Agcom sul caso Mediaset-Vivendi dovrebbe rispettare i tempi previsti e concludersi quindi entro il 21 aprile. L’ha detto ieri il commissario Antonio Nicita, sottintendendo che non ci sarà bisogno di ricorrere ai “tempi supplementari” per stabilire se la doppia presenza dei francesi nell’azionariato di Telecom e di Mediaset violi le disposizioni del Testo unico sui servizi di comunicazione radio-audiovisivi. Da parte sua il presidente Angelo Marcello Cardani ha detto che non si esprimerà sul tema prima di «nove-dieci giorni». Ieri il consiglio ha ascoltato il ceo di Vivendi Arnaud de Puyfontaine, che ha ribadito la posizione già espressa dalla media company transalpina agli uffici dell’Authority. Martedì dovrebbe ascoltare anche Mediaset, che si presenterà in delegazione con il presidente Fedele Confalonieri. Dopodiché l’Authority avrà tutti gli elementi per fare le sue valutazioni, anche se non è detto che la delibera arrivi prima del 9 aprile, termine ultimo entro il quale dovranno essere presentate le liste per il rinnovo del consiglio Telecom e quindi Vivendi potrebbe trovarsi nella scomoda posizione di dover fare a riguardo scelte “al buio” rispetto alla questione aperta su Mediaset. A oggi, infatti, prima di quella data non risultano in calendario altre riunioni del consiglio di Agcom oltre a quella prevista per ascoltare Confalonieri.
La questione riguarda il “collegamento” tra Telecom e Mediaset che si è venuto a determinare con l’ingresso di Vivendi nel capitale del Biscione oltre la soglia del 10%, dato che a dicembre, con un rapido rastrellamento, la quota francese è salita al 29,9% dei diritti di voto. Quello che l’Authority deve stabilire è se questo sia compatibile con le regole del Tusmar sul sistema integrato delle comunicazioni elettroniche che impediscono di mettere a fattor comune l’incumbent delle tlc, dove Vivendi già detiene la partecipazione di maggioranza relativa col 23,9%, e uno dei principali gruppi televisivi del Paese, con una quota di mercato del 13,3%. Ieri De Puyfontaine ha ribadito la posizione del gruppo francese e cioè che non controlla Telecom, né Mediaset e che non ha intenzione di salire oltre nel capitale dell’emittente televisiva.
Da una parte però il collegio sindacale di Telecom, nella relazione di corporate governance preparata per l’assemblea ha ritenuto che la posizione di Vivendi sia quella di “controllore di fatto” sulla compagnia ai fini della disciplina sulle operazioni con parti corrrelate (si veda altro articolo a pagina 34). Dall’altra Mediaset nell’esposto presentato a dicembre all’Agcom sostiene che sia già censurabile il fatto che Vivendi abbia superato nel suo capitale la soglia del 10% dei diritti di voto che la identifica come società “collegata”.
Ieri l’ad di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, interpellato da «Il Sole 24-Ore» sulle attese riguardo l’istruttoria in corso, ha detto di augurarsi che l’Agcom faccia «rispettare le regole». E sulla possibilità che Mediaset segua la strada dei “cugini” di Mondadori nel proporre l’adozione del voto doppio, che potrebbe consentire a Fininvest di rafforzare la presa sulla sua principale controllata, Berlusconi jr. ha risposto: «Tutto quello che contribuisce alla stabilità della società è utile». Non escludendo quindi una mossa in tal senso che comunque non sarebbe ipotizzabile se la partecipazione di Vivendi non fosse ricondotta al di sotto del 10% dei diritti di voto, perché col 29,9% attuale i francesi potrebbero facilmente esercitare in assemblea una minoranza di blocco che impedirebbe l’approvazione di proposte sgradite. Ma sarebbe apprezzato il voto doppio dal mercato? «Il flottante è molto ridotto oggi, ma credo che il mercato apprezzerebbe la stabilità che, in un settore come il nostro, è un valore». «Noi comunque - ha aggiunto Piersilvio Berlusconi - abbiamo uno statuto molto democratico. Non pensavamo di poter essere aggrediti». In effetti, il meccanismo del voto di lista previsto in statuto permetterebbe a Vivendi, con una quota inferiore di 10 punti a Fininvest, di avere in consiglio una rappresentanza sostanzialmente analoga a quella del primo azionista.
Con Vivendi, ha ribadito poi l’ad di Mediaset, non ci sono contatti né tantomeno trattative in corso: «Prima devono riconoscere il danno che ci è stato fatto su Premium» e che, solo in termini di perdite supplementari sopportate dalla pay-tv oggetto dell’accordo disdettato dai francesi, si quantificano in un centinaio di milioni per il solo 2016. «Ho visto De Puyfontaine solo il venerdì della scalata - ha ripetuto Berlusconi jr. - e gli ho detto che dovevano riconoscerci i danni». La risposta è stata che avrebbe chiamato Telecom? «La riposta è stata che avrebbe chiamato Telecom», ha confermato Pier Silvio Berlusconi, senza rivelare se poi questa telefonata ci sia stata davvero.
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