La difesa del core business di casa Berlusconi si gioca sul filo della finanza e delle mosse societarie. Con la cessione del Milan - l’accordo è stato ufficializzato ieri - Fininvest avrà le risorse per cominciare a blindare il controllo di Mediaset. Ma i tempi dettati dall’esigenza di evitare l’Opa - che sarebbe troppo onerosa anche per le casse della holding - e la necessità di arginare l’avanzata di Vivendi, con la quale i rapporti al momento sono confinati sul piano del contenzioso, suggeriscono di ponderare bene come utilizzare tutte le armi a disposizione.
Passaggio fondamentale per organizzare la difesa saranno le conclusioni dell’Agcom, presso cui pende l’esposto presentato prima di Natale da Mediaset con l’evidente proposito di limitare al 10% dei diritti di voto la partecipazione dei francesi, arrivata con il rastrellamento di dicembre al 28,8% del capitale del Biscione e al 29,9% dei diritti di voto.
L’Authority delle comunicazioni chiuderà probabilmente l’istruttoria il 18 aprile, mentre il giorno successivo Mediaset terrà il consiglio di bilancio, che potrebbe (ma non necessariamente) convocare anche l’assemblea, prevista per il 28 giugno. Nell’ipotesi in cui riuscisse a fermare i francesi al 10% (i ricorsi sono scontati) Mediaset e il suo azionista- fondatore potrebbero approfittare del vantaggio temporale per mettere in campo una serie di azioni di difesa. Anzitutto va ricordato che dopo il 27 aprile, Fininvest potrà aumentare la sua quota - oggi pari al 38,3% del capitale e al 39,8% dei diritti di voto - di un altro 1,23%, ma dovrà aspettare dicembre (un anno dopo l’arrotondamento d’urgenza per rispondere al blitz francese) per completare l’incremento del 5% annuo consentito senza dover procedere a un’Opa totalitaria. Mettere mano al portafoglio per il primo 5% sembrerebbe inevitabile per Fininvest, dal momento che il voto doppio - oggi non previsto nello statuto di Mediaset - richiede due anni di maturazione per diventare effettivo e, se grazie al solo voto maggiorato, si superasse la soglia del 50% scatterebbe l’obbligo di Opa. Se invece Fininvest avesse già in mano il 45% e arrivasse a superare il 50% con il voto maggiorato, dopo un anno dagli ultimi acquisti, blinderebbe il controllo di Mediaset, senza dover procedere a un’offerta totalitaria.
Il punto è però che, in questo modo, la famiglia Berlusconi arriverebbe alla meta al più presto nel giugno del 2019. Nel frattempo Vivendi potrebbe essere riuscita a liberarsi dai vincoli, potendo nel caso usufruire anch’essa del voto maggiorato che, come minimo, le riconsegnerebbe in mano la minoranza di blocco di cui, di fatto, dispone oggi. Ma soprattutto, tra un anno dovrà essere rinnovato il consiglio di amministrazione di Mediaset, ammesso che i francesi non chiedano prima di farvi ingresso.
Con le regole molto “democratiche” che lo statuto Mediaset prevede per la nomina del consiglio, se il board fosse rinnovato oggi - a parità di numero di amministratori - Vivendi, col 29,9% dei diritti di voto, avrebbe un peso analogo a Fininvest, che dispone del 39,8% dei voti, se non addirittura un consigliere in più, con i fondi a fare da ago della bilancia.
Rimettere mano allo statuto sembrerebbe dunque essere una priorità per chi gioca in difesa. Uno scenario possibile - ma solo se la quota francese fosse “congelata” al 10% - è che si proponga all’assemblea di rendere un po’ meno proporzionale il meccanismo del voto di lista per la nomina del consiglio, e che il board si dimetta, di riflesso alla modifica statutaria, per consentire l’elezione anticipata del cda prima che la presenza francese rischi di diventare troppo ingombrante anche negli organi sociali.
D’altra parte Vivendi, che ha immobilizzato più di un miliardo in una partita che non si prospetta tutta in discesa, a logica dovrebbe avere pure fretta di uscire dall’angolo. Ogni mossa chiama una contromossa, ma l’unica risolutiva, in tempi brevi, sarebbe un accordo tra i due ex promessi alleati di cui al momento non si intravvedono nemmeno le premesse.
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