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Green Bond, 100 miliardi per l’ambiente. Ecco la guida

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Green Bond, 100 miliardi per l’ambiente. Ecco la guida

Agf
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«Green Bond», difficilmente il nome poteva essere più appropriato per uno strumento di investimento che fa proprio dell’attenzione alle tematiche ambientali e sociali la principale attrattiva nei confronti del grande pubblico dei mercati. E in effetti questi prodotti di creazione relativamente recente godono di una popolarità crescente sia fra gli emittenti - visto che quest’anno saranno almeno 100 miliardi di dollari i nuovi bond immessi su un mercato che potrebbe però anche raddoppiare in dimensione da qui al 2020 secondo le stime di Bmo Global Asset Management – sia fra gli stessi investitori, anche privati.

La prima domanda che emerge spontanea fra la potenziale platea dei risparmiatori è se questo tipo di obbligazione sia davvero green come indicherebbe il “bollino” che le è stato affibbiato. Chi li guarda con la prospettiva di effettuare un investimento si chiede però anche se un green bond sia più o meno rischioso o remunerativo di un’obbligazione tradizionale e se il mercato secondario sia altrettanto efficiente. Va bene investire pensando al sociale, insomma, ma anche il portafoglio deve essere tutelato.

DIECI ANNI DI MERCATO DEI GREEN BOND
L'ammontare delle emissioni. Dati al 13 marzo 2017 in miliardi di dollari. (Bmo Global Asset Management)

I quattro principi «verdi»...
Sotto l’aspetto etico esistono alcuni requisiti che un’obbligazione deve possedere prima di essere dichiarata “verde”: sono i quattro «Green Bond Principles» stabiliti all’inizio del 2014 e rivisti nel giugno dello scorso anno dalla Icma (International capital market association, l’associazione che riunisce gli attori sui mercati dei capitali) che riguardano l’impiego del denaro raccolto sul mercato, il procedimento di valutazione e selezione dei progetti, la gestione dei proventi e infine il reporting.

..che a volte non bastano
Aver seguito le migliori procedure per assicurare l’aderenza ai principi appena indicati non è però a volte condizione sufficiente per essere inseriti nel portafoglio di uno dei numerosi fondi di investimento che stanno nascendo attorno a questa asset class. «Valutiamo caso per caso l’attitudine dell’emittente nel seguire un approccio socialmente responsabile nelle proprie politiche ed entriamo anche nel merito dell’emissione specifica cercando di capire se, oltre all’aderenza ai quattro principi, siano rispettate anche determinate caratteristiche che riguardano il singolo progetto finanziato», spiega Yo Takatsuki, direttore associato del team Governance & Sustainable Investment di Bmo Global Asset Management. La sua è un’analisi abbastanza severa, se è vero che circa un quarto dei bond analizzati poi non entra a far parte delle soluzioni di investimento del gruppo canadese.

Emittenti più affidabili della media...
Dal punto di vista strettamente del mercato e del suo funzionamento è invece importante notare prima di tutto come i «green bond» siano differenti dai «project bond», nel senso che il rischio del titolo obbligazionario non è legato al successo del progetto socialmente sostenibile che viene finanziato, ma al merito di credito stesso dell’emittente. «Se il progetto non dovesse andare a buon fine il valore del bond non viene necessariamente influenzato, se non nella misura in cui questo insuccesso può condizionare la solidità della stessa società che lo ha messo sul mercato», conferma Takatsuki. Questo li rende potenzialmente più «sicuri», anche perché il rating delle società che li emette è in media superiore rispetto a quello che si riscontra nel resto del mercato corporate: il 38% hanno la tripla «A», il 17% sono «AA» e soltanto il 3% sono «junk bond».

...ma liquidità sul mercato è tutta da verificare
Se in fase di emissione le forti richieste degli investitori possono rendere il «green bond» mediamente più caro rispetto a un’obbligazione standard, sul secondario – assicurano da Bmo, portando ad esempio un emittente sovrano come la Polonia e una società come Iberdrola – i titoli trattano più o meno sullo stesso sullo stesso livello. «I green bond – fa però notare Takatsuki – sono tipicamente detenuti da investitori che li mantengono fino alla scadenza, per questo il mercato è poco liquido per chi li vuole acquistare, ma non per chi li vuole vendere». In più, i costi di transazione sul secondario sono superiori rispetto alla media «anche se bisogna considerare che la taglia di questi titoli è in genere inferiore a quella del resto del mercato e che il differenziale rispetto ai normali corporate si va riducendo».

LE CARATTERISTICHE DEL MERCATO DEI GREEN BOND
MERITO DI CREDITO
(Fonte: Natixis)
TIPO DI EMITTENTE
(Fonte: Natixis)

Hera, Enel, e la soluzione del risparmio gestito
In Italia la «pioniera» nel campo dei «green bond» è stata la bolognese Hera, con il suo titolo decennale da 500 milioni emesso nel 2014: esempio che è stato seguito all’inizio di quest’anno da Enel, con un’obbligazione scadenza settembre 2024 da 1,25 miliardi che è quotata anche su ExtraMOT PRO, il segmento di Borsa italiana espressamente dedicato ai green e social bond. Come la gran parte degli altri «green bond», quello emesso da Enel è però riservato a soggetti istituzionali: per investire in questo particolare segmento occorre per il momento affidarsi a uno dei numerosi fondi che le banche d’affari hanno lanciato in questi ultimi anni, oppure anche agli Etf. Con il potenziale limite, per questi ultimi, della limitata liquidità presente sul mercato che potrebbe rendere complicato e oneroso il compito di chi deve replicare l’indice di riferimento sui green bond.

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