Scottata più volte in passato, l’Opec stessa non si fidava fino in fondo della Russia. Ma stavolta Mosca sembra aver rispettato gli impegni: al 1° maggio la sua produzione di petrolio era diminuita di 300.790 barili al giorno rispetto ai livelli (da record) di ottobre, un taglio addirittura superiore, sia pure di poco, rispetto ai 300mila bg promessi.
Le cifre esibite dal ministero dell’Energia non hanno comunque scaldato il mercato e le quotazioni del barile hanno concluso la seduta poco sopra i minimi: 50,79 dollari per il Brent di luglio e 47,82 $ per il Wti di giugno.
I precedenti non sono incoraggianti. Per almeno tre volte ( nel 1998, nel 2001 e nel 2008) la Russia aveva promesso collaborazione con l’Opec, salvo poi approfittare dei suoi tagli per strapparle quote di mercato. E anche oggi le sue esportazioni stanno accelerando: gli stessi dati ministeriali mostrano che le forniture via oleodotto sono aumentate da 4,415 a 4,736 milioni di barili al giorno in aprile, a fronte di una produzione media di 10,995 mbg (-0,5%).
Il problema è peraltro comune, come evidenziano diversi analisti. Morgan Stanley stima che l’Opec, dall’inizio dell’anno abbia ridotto l’export di meno di 1 mbg, pur avendo tagliato fino a 1,4 mbg di produzione (quindi più degli 1,2 mbg promessi). Per Energy Aspects l’export Opec è sceso di appena 800mila bg.
Anche queste considerazioni stanno pesando sui corsi del petrolio. Ma l’attenzione degli investitori oggi si concentra soprattutto sugli Stati Uniti, da cui arrivano troppi segnali negativi.
L’Eia ha segnalato un nuovo calo delle scorte di greggio la settimana scorsa, ma solo di 930mila barili. Quanto alla benzina gli stock, saliti di altri 191mila barili, superano del 10% la media stagionale del decennio e la domanda si conferma debole (-2,7% nelle ultime 4 settimane).
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