«Le attività destinate ad essere sostituite dalla digitalizzazione? I servizi a basso valore aggiunto». È la convinzione di Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco Bpm, rispetto alla rivoluzione informatica. Un fenomeno che, seppure trasversale all’intera economia, coinvolge con forza il comparto bancario. «Un istituto finanziario deve avere un reale modello di multicanalità. La separazione tra la banca “fisica” e quella digitale è senza senso. Certo: la riduzione degli sportelli in Italia è conseguenza, anche, del loro numero eccessivo. E, tuttavia, si tratta di un andamento guidato dalla clientela. Quest’ultima, proprio grazie alla digitalizzazione, utilizza sempre di meno il canale fisico. Il quale, al contrario, diventa un luogo dove devono offrirsi i servizi ad alto valore aggiunto».
Al di là del business model, la digitalizzazione ha un impatto sull’occupazione. Il sistema bancario italiano è contraddistinto dall’uscita di molti addetti. Certo: le cause sono molteplici. E, tuttavia, tra queste c'è la stessa innovazione…
Il discorso è complesso. In generale, ad esempio, può ricordarsi che la nostra industria bancaria soffre di una sovraoccupazione che può stimarsi tra il 10-15%. Ciò detto non bisogna avere un atteggiamento ostile nei confronti del progresso perché l’innovazione offre grandi opportunità e consente di creare nuova occupazione anche nel nostro settore.
Ad esempio?
Nelle banche basta pensare all’attività di gestione delle sofferenze. Gli istituti di credito, rispetto ai crediti dubbi, hanno al loro interno una mole enorme di documentazione e dati. Materiale in grande parte ancora in forma cartacea il quale, se si vuole affrontare con efficienza il tema, dev’essere digitalizzato. Ebbene: questo processo richiede nuove competenze; conoscenze di carattere informatico. E non solo. Al di là della stessa digitalizzazione dei dati c’è bisogno di esperti in statistica, matematica finanziaria. Insomma: da un problema come quello delle sofferenze possono nascere, grazie proprio all’innovazione tecnologica, opportunità di lavoro.
Quindi Lei richiama la necessità della formazione…
Sempre di più collaboriamo con centri di formazione e ricerca. È fondamentale uno stretto contatto con i luoghi deputati alla formazione. Sebbene, a differenza delle attività industriali dove il problema in oggetto è più rilevante, non credo siano necessarie forme di partnership vincolate con, ad esempio, le università.
Vale a dire?
Pensiamo ai servizi proposti alla clientela retail. Questi ormai spesso si traducono in applicazioni per il pc o lo smartphone. Ebbene: noi facciamo selezione di prodotti e servizi tra le tante start up di settore che nascono ogni giorno, creando lavoro indiretto. Riguardo, invece, la selezione di personale legata alle attività di gestione interna, dal risk management al trading, lo scouting è negli ambienti universitari. Lo ribadisco: si tratta di avere una collaborazione stretta seppure ciascuno nell’ambito delle proprie competenze.
Tuttavia, di fronte al rischio di perdere il posto di lavoro, il tema di come gestire l’innovazione è essenziale..
Ne sono consapevole. E aggiungo che si tratta di un obiettivo primario. L’automazione cambia il mondo del lavoro. In tal senso credo sia necessario aumentare il proprio bagaglio di conoscenze. La sfida è quella. Certo: la sicurezza e la qualità del posto di lavoro possono ridursi. Ma la stessa maggiore competenza dovrebbe consentire di gestire con più facilità il rischio di una maggiore instabilità, come c’insegnano i nostri giovani.
Insisto: proprio nel comparto delle banche, anche a causa dell'informatizzazione dei servizi, molti dipendenti sono usciti dal mondo del lavoro. Un meccanismo molto sfruttato, ma che non rappresenta una soluzione definitiva, è il pre-pensionamento. Quali sono, oltre la formazione professionale, delle soluzioni al tema. Ad esempio: lei sarebbe favorevole al reddito di cittadinanza?
In realtà i piani di pre-pensionamento costituiscono uno strumento importante e, nel loro ambito, sono una soluzione efficace. Infatti, da un lato garantiscono le necessarie tutele economiche a chi esce dal mondo del lavoro, dall'altro aprono spazi occupazionali per i giovani. Tra le altre possibili iniziative penso ai programmi di outplacement, cioè a percorsi di ri-qualificazione che mettano in grado le persone di ricollocarsi in nuove posizioni professionali. Quanto alle forme di sostegno economico a carico della collettività, come il reddito di cittadinanza, senza entrare nel merito dei costi, dobbiamo tener presente che se esiste il dovere etico di aiutare chi si trova in difficoltà o chi sta cercando un nuovo impiego, esiste anche quello di riconoscere alle persone la loro dignità e aiutarle a trovare lavoro ne è una parte fondamentale.
L'innovazione tecnologica, nel mondo bancario, pone una sfida agli istituti tradizionali: le grandi società tecnologiche, che gestiscono social network, lanciano servizi finanziari tra i loro clienti. Un pericolo per le banche?
Al contrario. Queste società, essenzialmente, svolgono attività sfruttando il loro punto di forza: l'estensione e la densità delle loro reti. Un esempio? I sistemi di pagamento. I quali possono diventare una loro fonte di reddito perché sono massivi. Nel momento in cui, però, si sale lungo la catena di valore dei servizi la presenza di queste realtà diminuisce. C’è la necessità ovviamente di competenze che non sono così immediate. Questo non vuol dire che io sottovaluti il fenomeno. Tutt’altro. Credo, invece, che ci sia l’opportunità per stipulare accordi con simili realtà per individuare da un lato nuove aree di business. E, dall’altro, creare opportunità di lavoro. Lo ribadisco: non vedo nella rivoluzione tecnologica un fattore che ci porterà ad un mondo “jobless”.
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