Aveva promesso di fare «qualsiasi cosa serva» per rimettere in ordine il mercato petrolifero. E il ministro Khalid Al Falih è volato di persona in Iraq per evitare problemi al vertice Opec di dopodomani. Da oltre trent’anni Riad non inviava un funzionario di governo in visita ufficiale a Baghdad, ma lo sforzo diplomatico ha dato i suoi frutti. Al Falih e il suo omologo iracheno Jabar Al Luaibi si sono presentati insieme ai giornalisti, dichiarando di appoggiare entrambi una proroga di nove mesi per i tagli alla produzione di greggio.
Al Falih in particolare ha sottolineato di non aspettarsi «nessuna obiezione» al piano che presenterà giovedì a Vienna, un piano che sarà «simile al precedente, con qualche aggiustamento minore».
Qualche dettaglio in più il mnistro l’aveva dato domenica, durante la visita in Arabia Saudita del presidente americano Donald Trump: «Pensiamo che la continuazione dello stesso livello di tagli, aggiungendo potenzialmente uno o due piccoli produttori in più se vogliono unirsi, sarà più che adeguato», aveva detto Al Falih. «Tutti quelli a cui ho parlato hanno indicato che nove mesi di proroga è una decisione saggia».
All’appello mancava forse l’Iraq. Ma a questo punto, almeno nell’Opec, il consenso potrebbe essere davvero unanime. E il petrolio ha potuto continuare a rafforzarsi: il Brent ha chiuso ai massimi da un mese (53,87 $/barile).
A poche ore dall’appuntamento di Vienna resta l’incognita, tutt’altro che secondaria, della partecipazione degli undici alleati esterni all’Opec: se la Russia è allineata con l’Arabia Saudita, non è detto che gli altri dieci produttori siano tutti disponibili a proseguire i sacrifici o comunque a farlo con la stessa intensità (del resto solo il 60% dei tagli promessi dai non Opec è stato davvero attuato).
Comunque nemmeno l’Iran, altra potenziale fonte di difficoltà per l’intesa, sta pestando i piedi: il Paese Opec, che aveva strappato il permesso di aumentare la produzione, non è ancora arrivato (forse perché non riesce) ai limiti consentiti. E aver convinto l’Iraq, il secondo produttore dell’Opec dopo l’Arabia Saudita, è un decisivo passo avanti: Baghdad, che era già stata recalcitrante a unirsi al piano dello scorso novembre, di recente si era detta disponibile a proseguire i tagli solo fino a dicembre e non fino a marzo come chiesto da Mosca e Riad.
Certo, il consenso iracheno potrebbe essere solo di facciata. Finora Baghdad non ha dimostrato la massima diligenza nel rispettare gli impegni: la sua produzione di greggio avrebbe dovuto ridursi di 210mila barili al giorno, a 4,351 milioni di bg, ma nel primo trimestre aveva effettuato solo il 60% del taglio previsto. Ad aprile è salita al 90%, ma continuare a rigare dritto potrebbe risultarle difficile. Nei giacimenti iracheni, danneggiati da anni di guerre, sono impegnate molte compagnie straniere, ansiose di espandere l’output per recuperare il denaro investito. Inoltre nei prossimi mesi è prevista la fine dei programmi di manutenzione in alcuni impianti produttivi e l’avvio di nuovi pozzi.
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