Spagna batte Italia 2-0 nella gestione delle crisi bancarie? Di primo acchito, sì. Mentre tra Roma, Bruxelles e Francoforte si discute da mesi su come salvare – con soldi per lo più pubblici – il Monte dei Paschi, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, a Madrid in una settimana si è trovato il modo (con il pieno avallo di Bce e Commissione europea) di “risolvere” il Banco Popular, con soldi interamente privati: 3,3 miliardi di perdite a carico di azionisti e obbligazionisti, 7 miliardi di investimenti da parte del Santander, che si è comprato l'istituto per il prezzo simbolico di un euro.
Le analogie tra le crisi italiane e quella del Banco popular si sprecano: la vicenda spagnola ricorda quella del Monte, ad esempio, quanto ad aumenti “bruciati” (6 miliardi raccolti tra il 2012 e il 2016), i numeri quelli delle due popolari venete. Insieme, infatti, Veneto e Vicenza raggiungono i livelli della sesta banca spagnola quanto a dipendenti, circa 10mila, e pure i 7 miliardi di capitale necessario per coprire i 40 miliardi di Npl non sono lontani dai 6,4 miliardi dell'operazione in faticosa costruzione per le due ex popolari.
Che però, a differenza del Banco, non hanno nessun aspirante compratore. Così com'era accaduto per il Monte. Non è un dettaglio, e aiuta almeno in parte a capire perché a una soluzione lampo, e privata, l'Italia abbia preferito esplorare l'unica eccezione prevista dalla famigerata direttiva Brrd che consente allo Stato di intervenire, trasformando il possibile bail in in un bail out vecchia maniera, con i soldi dei contribuenti a coprire il buco.
Prima di avviare un'estenuante trattativa duplice, con Bce e Commissione europea, sia il Governo che la Vigilanza di Bankitalia si sono attivati informalmente (e probabilmente lo stanno facendo ancora) con le principali banche italiane per trovare qualche cavaliere bianco disposto a farsi carico dei tre casi critici. Ma non c'è in Italia un player come il Santander, forte di dimensioni globali (e oltre 80 miliardi di capitalizzazione) ma senza una posizione dominante in patria, dunque in grado di creare valore dall'incremento della propria quota sul mercato domestico pur a fronte di un'operazione onerosa e complessa. E l'Italia non cresce al ritmo del 3% come la Spagna: neanche questo è un dettaglio.
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