Bitcoin, e oltre. Il mercato delle criptovalute, le monete digitali scambiate in Rete, ha già sfondato per la prima volta il tetto dei 100 miliardi di dollari di capitalizzazione e viaggia oggi oltre i 110 miliardi. Un'ascesa vertiginosa, se si considera che solo a gennaio il market cap complessivo non superava i 20 miliardi. La crescita più poderosa è sempre quella del bitcoin, pilastro che incide sul 40% del mercato con prezzo intorno ai 2.800 dollari a unità e una capitalizzazione sopra i 45 miliardi.
Il rally non è solitario
Ma il rally è tutt'altro che solitario. Una valuta concorrente come Ether, unità di conto della piattaforma di scambio di smart contracts (contratti automatici) Ethereum, è volata ieri fino a picchi oltre i 400 dollari e ha raggiunto una capitalizzazione di 36 miliardi di dollari. Ripple, specializzato nel trasferimento fondi tra istituzioni finanziarie, sfiora un valore complessivo di 10 miliardi di dollari dopo aver inaugurato l'anno poco sopra i 236 milioni. Sullo sfondo c'è un'offerta sempre più fitta di «cloni del bitcoin», come alcuni hanno ribattezzato le criptovalute più simili al modello originario della categoria. Il portale specialistico Coinmarketcap ne conta almeno una decina con un portafoglio sopra i 500mila dollari, anche se le oscillazioni sono così repentine che la lista potrebbe variare nell'arco di poche ore.
Exploit inatteso
Valeria Portale, responsabile blockchain e distributed ledger degli Osservatori del Politecnico di Milano, ammette che l'ascesa del bitcoin e delle criptovalute era «un po' inaspettata, almeno a questi livelli». L'improvviso exploit delle valute online ringrazia più fattori, incluso uno abbastanza inusuale: gli attacchi informatici. Casi come quello di WannaCry, il virus che sequestrava dati in cambio di riscatti in bitcoin, hanno finito per accreditare (anziché penalizzare) l'interesse per monete che sfuggono alla logiche tradizionali del mercato e della regolamentazione. Il 10 maggio, due giorni prima dell'assalto di WannaCry, il bitcoin era già in ascesa a quasi 1.800 dollari a unità. Un mese dopo ne valeva 1000 in più: «Forse il fenomeno hacker ha acceso ancora di più i riflettori su questo mondo – dice Portale – Le oscillazioni sono normali, ma non a questo livello».
Rischio bolla
L'euforia degli scambi nel mercato delle valute virtuali non ha attirato, ovviamente, solo entusiasmi. Alcuni analisti hanno messo in guardia dal classico effetto bolla, aggravato in questo caso dalle debolezze strutturali del bitcoin e delle altre monete digitali: opacità nell'uso delle monete (destinate anche ad attività illecite), eccessi di volatilità e il rischio di una speculazione interna a spese degli investitori meno familiari con i tecnicismi del settore.
Come spiega Portale, «non c'è molta chiarezza sul trattamento delle criptovalute» sia a livello economico che finanziario. La natura peer-to-peer (scambio tra privati) delle monete digitali rende difficile capire sia l'uso concreto delle risorse sia la loro destinazione finale: in altre parole, se e come vengono immessi nell'economia reale i soldi di una piattaforma che esiste solo sul Web.
Effetto leva
Senza contare l'effetto leva, potenzialmente infinito, della speculazione su criptovalute create e riprodotte senza il filtro di governi e banche centrali. «Ad esempio non si capisce se l'aumento di domanda possa avere ricadute sull'economia reale, nel senso che i bitcoin saranno spesi davvero, oppure se si sia solo speculazione finanziaria – dice Portale – Spesso chi compra bitcoin tende a comprare altre criptovalute, alimentando il famoso rischio bolla».
La strategia descritta da Portale è quella di un gioco speculativo tra le varie monete virtuali, dove il bitcoin fa da leva per acquisto e vendita di valute secondarie: «Non tutte le criptovalute sopravviveranno a lungo – fa notare Portale – Resisterà chi ha un valore aggiunto, come possono essere gli smart contracts di Ethereum, e offre un servizio che non dipende solo dai bitcoin».
Il limite di emissione
D'altronde il sistema che si è creato intorno ai bitcoin viaggia verso una scadenza naturale: la tecnologia prevede un limite di emissione di 21 milioni di bitcoin, oltre i quali non sarà più possibile “estrarre” monete digitali dal database. «Dopo lo stop al “mining” (l'attività di estrazione, ndr) si capirà qualcosa in più – dice Portale – C'è chi avrà difficoltà nello stare in piedi e chi sopravviverà, anche se al momento non è il caso di fare pronostici».
Qualche spiraglio in più si sta aprendo anche dal punto di vista normativo. Dopo i venti di guerra tra banche centrali e criptovalute, la tecnologia inizia a incassare i primi riconoscimenti. A spianare la strada è stato il Giappone, facendo entrare in vigore ad aprile una legge che riconosce bitcoin come forma di pagamento: «Il regolatore può fare fatica a capire subito il fenomeno – spiega Portale – Forse, come in tutte le innovazioni, normare senza comprendere le implicazioni può essere dannoso».
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